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Letteratura come impegno

Specialmente per chi scrive, ‘Il grande viaggio’ di Jorge Semprun è buona educazione letteraria, un libro utile per schivare la vanità o la moda culturale

Nella Capri del Nord
(Keystone)
14 luglio 2025
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Credo che il principale motivo che tiene lontani buona parte dei lettori comuni dalla poesia, in versi o in prosa, sia la frigidità estetica; che non è naturale, nell’essere umano, ed è parallela alla frigidità di fronte alla bellezza della natura: come si può non essere felici davanti a una creatura arborea? È un fatto naturale provare felicità davanti a un albero, tanta letteratura ce lo conferma. Eppure, nella vita quotidiana, senza scrupoli tagliamo al piede un gelso secolare, sacrifichiamo una magnolia dai magnifici fiori perché sporca per terra, avveleniamo la terra con il diserbante pur di aver un praticello all’inglese dove ritrovarci felicemente infelici. Così in letteratura: consumiamo pagine di prosa banale, o affettata – l’affettazione in letteratura, e nella vita, è un grave difetto, lo dice anche Giacomo Leopardi – e trascuriamo il ruscello fresco che scorre nelle strofe di un poeta vero.

Faccio un esempio personale. L’altro giorno ho scoperto, negli scaffali della mia biblioteca, un libro che non avevo mai letto: ‘Il grande viaggio’, di Jorge Semprun, pubblicato in italiano nel 1964, quand’io ero un giovane di belle speranze affamato di letteratura. L’avevo messo lì, con l’originale francese, ripromettendomi di leggerlo. In questi giorni, mantenendo quella promessa fatta a me stesso, ho affrontato la lettura e ho scoperto che ‘Le grand voyage’ è un grande libro. A pagina 118 mi sono imbattuto in questo passo: “Ad Ascona, due anni dopo, circa due anni dopo, mi sono ricordato di quella stazioncina di provincia, sotto un pallido chiarore invernale. Ero sceso a Solduno, alla fermata del tram, e invece di risalire subito verso casa, ricordo, ho attraversato il ponte, e ho camminato fino al lungolago di Ascona”.

Tra Ascona e Weimar

Una sorpresa per me. Non sapevo che questo libro fosse stato scritto, in parte, “in tre mesi di riposo nella Svizzera italiana”, nessuno me l’aveva mai detto. Il nostro borgo sul Verbano ricorda, allo straordinario scrittore spagnolo, una sosta nella cittadina tedesca di Weimar, durante il viaggio che sta al centro del romanzo. Una storia fatta di andirivieni della memoria, ferita a morte dalla terribile esperienza del viaggio verso un campo di concentramento, ossessionata dal ricordo del “ragazzo di Semur”, morto sul vagone merci zeppo dei centoventi corpi di uomini che stanno per essere deportati dalla Francia in Germania, dalla prigione di Auxerre a Buchenwald.

Dunque, mi sono imbattuto nel nome di Ascona, la contadinella vestita da ticinella che ai tempi si esibiva davanti ai turisti svizzerotedeschi e germanici, la ‘Capri nordica’ di una celebre poesia di Montale. Ascona e Solduno, località della mia geografia affettiva di studente che fuggiva dalla Magistrale per andare incontro alla poesia. Ed è proprio la poesia, struggente, che contraddistingue questo libro.

Dicevo degli andirivieni della memoria, tratto distintivo dello stile di Semprun, in sintonia con la modernità. Per fare un esempio: dal lungolago di Ascona con le sue “donne, belle, macchine sportive, e giovanotti impeccabilmente vestiti di flanella”, si passa, con un balzo improvviso, a Weimar, la cittadina dove Goethe conversava con Enkelmann all’ombra di una quercia; e dove il protagonista del libro – il “rosso spagnolo” com’era stato definito dai nazisti – fa una sosta nel viaggio verso il campo di concentramento. È, questo, solo uno dei poetici salti di memoria dello scrittore. Ma il vero protagonista del ‘Grande viaggio’ è il ragazzo di Semur, già partigiano, che muore tra le braccia dello scrittore sull’asfissiante, mortifero vagone merci, dopo aver pronunciato le parole “Non mi lasciare, amico”.

Come lettore, in questi tempi bui, raccomando questo libro a tutti, ma specialmente a chi si appresta a scrivere e magari a pubblicare. È una buona educazione letteraria, per evitare di cadere nel tranello della vanità, o della moda culturale. Perché capisca, questo ipotetico aspirante scrittore, che la letteratura, narrativa o poesia, è una faccenda etica: profondamente etica. Un pugno che può scuotere la nostra frigidità estetica.

Jorge Semprun, Il grande viaggio, traduzione di Gioia Zannino Angiolillo, Einaudi, Torino 1964 (titolo originale “La grand voyage”, Gallimard, Paris 1963).