Da quest'anno è ‘Lugano International Festival Endorfine’. È giunto alla sua settima edizione, presentata stamattina (dal 19 al 21 settembre)
“Siamo diventati grandi quasi senza rendercene conto” esordisce Andrea Leoni, presidente del festival Endorfine, alla conferenza stampa della sua settima edizione. Un festival che, come un bambino curioso, sperimenta la propria identità – stretto nell’abbraccio materno della città –, si è presentato con un nuovo nome e una veste grafica rinnovata. “Da quest’anno ci chiamiamo Lugano International Festival Endorfine, per sottolineare ancora di più un legame che, per noi e per la città, è molto importante”.
Come ogni figlio ben educato, Endorfine non smette di ringraziare la madre. “La città ci sostiene sia finanziariamente sia mettendo a disposizione gli spazi”. Un sostegno che non va dato per scontato, perché il vicesindaco Roberto Badaracco ricorda che non si naviga nell’oro: “Abbiamo rinnovato la convenzione, diamo comunque dei fondi che sono importanti; vista anche la situazione finanziaria della città, quindi abbiamo fatto uno sforzo importante”. Questo sforzo, insieme agli sponsor, consente di mantenere i prezzi bassi. “So che non è molto sexy – ha ammesso Leoni – avere un costo del biglietto che sia veramente accessibile a tutti e tutte. È possibile solo grazie agli sponsor pubblici e privati”.
La concorrenza per accaparrarsi i migliori ospiti – “personalità così importanti a livello internazionale che nessuno potrebbe vedere dal vivo, se non in televisione, nei format o in altri momenti”, dice Badaracco – è serrata: ci si contende i nomi tra festival italiani e internazionali, come un Labubu in edizione limitata. Lo fa notare Leoni, qui non siamo abituati a pensarlo, che nel mercato globale i relatori famosi si muovono come star: “Non c’è differenza tra un ingaggio di una importante rock band che viene a fare un concerto e quello di un grande relatore. I cachet sono assolutamente sovrapponibili e per loro è del tutto normale, soprattutto negli Stati Uniti”, ha spiegato. La competizione non è più solo con altri festival, si gioca anche contro i business forum, che ormai invitano le stesse personalità umanistiche, con cachet che un festival culturale non può permettersi.
Un festival così aiuta Lugano “a non pensare di vivere in un orticello fuori dal mondo”, ha detto Badaracco, portando la sua esperienza da spettatore con un certo aplomb che scivola dal realismo amministrativo all’esistenziale: “Ho visto alcuni dibattiti di personalità importanti: entri con una grande aspettativa e ne esci colpito, con una presa di coscienza su determinate cose che prima non avevi. Questo secondo me è il vero valore aggiunto: farti cambiare come persona nei confronti di tematiche, di esperienze, che ti fanno capire cos’è il mondo, cos’è la realtà, cos’è la vita”.
Il tema del 2025, ‘Pezzi’ (omaggio a una delle citazioni più celebri di papa Francesco, quella riferita “alla Terza guerra mondiale a pezzi”) sembra un riflesso di questa sensazione di frattura: “Ci interessava il fatto che pezzi è una parola ambivalente”, ha spiegato Leoni. “Può significare qualcosa che va in frantumi, ma anche il tassello decisivo per completare un’opera”. E, ha aggiunto con un cenno d’autore, “pezzo è anche l’articolo giornalistico”. Nel programma i pezzi si incastrano come in un puzzle che, a un primo sguardo, non ha alcun nesso e poi compone un’immagine: frammenti levigati di comicità accanto a blocchi ortogonali di serietà geopolitica.
Il festival ha scelto di partire da Trump. “Secondo la nostra opinione è la notizia dell’anno, il suo ritorno alla Casa Bianca”, ha detto Leoni. A parlarne sarà la filosofa Susan Neiman, che già nel 2023 aveva scritto ‘La sinistra non è woke. Un antimanifesto’. Si scivola poi nel corpo collettivo dello sport con Daniele Adani (“era da due o tre anni che volevamo trovare una chiave per introdurre lo sport”), si attraversano la geopolitica di Dario Fabbri e la frontiera narco di Anabel Hernández, si rimette in circolo l’ossigeno con Ubaldo Pantani e si aggancia il pubblico più pop con un Fabio Volo da “9 milioni di copie vendute” (Leoni). Ma la leggerezza si incrina con Annie Jacobsen, finalista al Pulitzer e autrice di ‘Guerra nucleare. Uno scenario’. Infine, Roberto Saviano, già sold out.
Il bambino di Lugano è cresciuto: con una lounge nuova “dove potete sfogliare un libro oppure prendere qualcosa da bere”, con filosofi trattati da rockstar e imitatori trattati da filosofi. Un figlio grato, non ingenuo: sa che il mondo ha il suo buio e che le endorfine alzano la soglia del dolore, così da guardare in faccia mondo, realtà, vita.