Non siamo partiti senza di lei, nemmeno volevamo finire. Céline Dion non ci sarà: ci resta un bacio, da ricambiare
“Buongiorno a tutti. Mi spiace di averci messo tutto questo tempo per raggiungervi. Mi mancate tantissimo e non vedo l’ora di tornare sul palco per potervi parlare di persona. Come sapete sono sempre stata un libro aperto, prima non ero pronta per parlare, ma ora lo sono. Di recente mi è stato diagnosticato un disturbo neurologico raro chiamato sindrome della persona rigida, che colpisce circa una persona su un milione. Ogni giorno mi impegno col fisioterapista specializzato in medicina dello sport per recuperare la forza e poter tornare a esibirmi. Ma devo ammetterlo: è dura”. Qualcuno l’aveva data per morta, altri le avevano dato della codarda perché la voce non sarebbe stata più quella di un tempo. E invece Céline Dion stava solo male, uno di quei mali che vanno a toccare una dote così unica come quella del saper cantare. Era il dicembre del 2022 e nel cancellare i concerti alle porte, l’artista canadese che nel 1988 regalò alla Svizzera il suo secondo Eurovision Song Contest pur non avendo nulla a che fare con la Confederazione, dava quello che ai buoni di cuore sembrò un addio.
Del tutto disinteressata a promuovere un’immagine sostitutiva di sé, Céline aprì le porte di casa alla regista statunitense Irene Taylor, che senza omettere nulla la ritrasse nel male e nel peggio della malattia nel documentario ‘I Am: Céline Dion’, uscito un anno fa. E di tutto quel che si vede nel film, la parte più dura da digerire non è Céline paralizzata dall’ennesima crisi, bensì la cantante davanti a un microfono che si rende conto che la voce non l’assiste più. In pochi avrebbero pensato di ritrovarla sulla Torre Eiffel a cantare l’‘Hymne à l’amour’ di Edith Piaf. In quella notte parigina del 2024, in condizioni da ‘après moi le déluge’ (pioveva come Luigi XV o chi per lui la mandava), anche al più insensibile dei metallari finlandesi passati per l’Eurovision sarebbe venuto un nodo in gola. I complottisti della musica misero in dubbio che fosse davvero lei, e invece lo era.
“Non conosco altro che il canto. Mi manca il palco. In questo momento non ho altra scelta se non concentrarmi sulla mia salute. Prendetevi cura di voi. Vi voglio bene, spero di potervi rivedere presto”. Così si chiudeva il messaggio del 2022 con la cantante seduta sopra una poltrona, di fronte alla telecamera. Così l’abbiamo ritrovata martedì scorso, con la medesima espressione di chi vorrebbe ma non può, e un lieve difetto nel parlare che forse è sfuggito. Alla fine della prima semifinale, il tributo di alcuni giovani dell’edizione 2024 sulle note di ‘Ne partez pas sans moi’, la canzone del 1988, pareva avere chiuso una questione che nei cuori del suo pubblico non vuole chiudersi.
E siamo alla finale. “Siamo felici se i media si interrogano sull’arrivo di Céline Dion”, diceva ieri Reto Peritz, produttore esecutivo di questo Esc con Moritz Stadler. Furono loro, in marzo, ad annunciare che “un contatto” era in corso. “Nel caso in cui arrivasse Céline – precisava ieri Peritz – sappiamo quali parti di show tagliare per darle spazio”.
Lucio Corsi sostiene che la musica non sia un gesto atletico, eppure quello di Céline Dion a Parigi lo fu, fluido quanto un fosbury che nemmeno sfiora l’asticella, unico come tutte le imprese. Per questo Basilea, terra di sportivi, confidava in un ultimo tentativo: non siamo partiti senza di lei, nemmeno volevamo finire. “Un abbraccio. Baci, vi voglio bene”, diceva Céline martedì scorso. L’assenza è confermata, possiamo solo ricambiare quel bacio.