Jovanotti, ‘Il corpo umano’ (Universal) – ★★★★✩ – La misurata festa di un album che contiene le tappe di una rinascita
Spiegato per la Generazione Z e successive, l’Allegro chirurgo è un vecchio gioco in scatola nato a metà anni Sessanta (‘Operation’ è il suo nome originale) in cui su di una plancia metallica è raffigurato il paziente Dario (Cavity Sam in America), sul cui corpo ci sono dei fori; da essi, con una pinzetta metallica, si estraggono ossa e altri oggetti di plastica, che sarebbero le malattie; se la pinzetta tocca i bordi dei fori, a Dario si accende il naso e un buffo suono da quiz show dice che l’operazione è fallita. Sintetizzare quella volta in cui sei stato a un passo dalla morte con l’Allegro chirurgo che ha le tue sembianze è trovata da Jovanotti. Era il luglio del 2023 e l’artista postava dalla Repubblica Dominicana un video nel quale veniva soccorso dalla gente del posto dopo un brutto incidente stradale. “Mi sono rotto qualcosa”, diceva, dopo essere finito con la bicicletta contro un dosso abusivo.
“Più che un dosso era un muro, sono andato contro un muro in un rettilineo di venti chilometri!”, così Lorenzo a Radio DeeJay un paio di settimane fa per lanciare ‘Il corpo umano’, il nuovo album, dal titolo che definire pertinente è, come per la copertina, riduttivo. “Ho visto il piede al contrario, che puntava verso il c***, praticamente”. Il racconto completo del suo calvario l’ha raccolto il Corriere della Sera: “Ho messo tutto me stesso nella vitalità, il linguaggio del mio corpo è la mia lingua”, ha spiegato, specificando la rilevanza di un tale stop per uno come lui abituato a saltare come un grillo e constatando che “sarebbe dovuto comunque accadere prima o poi, perché l’età passa”. La gamba storta, la setticemia che gli stava rosicchiando l’osso, i quattro litri di sangue persi durante la seconda operazione (“Un Vietnam, uno pensa che la morte accada solo agli altri”), la riabilitazione (“Si comincia gattonando: devi reimpostare il sistema neurale”) e infine un album, per raccontare i tanti buoni motivi per cui vale la pena rinascere.
“Una sirena mi ha tagliato la strada / Per costringermi a guardare le cose con occhi nuovi”. Così inizia ‘Montecristo’, primo estratto da ‘Il corpo umano’, disco che è un capitolo primo che attende almeno un secondo, “15 canzoni nuove, parte di un corpo unico, che ha voglia di vivere e danzare”, scrive Jovanotti su Instagram. Da ‘Montecristo’ si passa a ‘Fuorionda’, scritta con Dardust e da questi prodotta come la precedente, brano sempre dolente (“Potrei dirti che fa ancora male / E che non si decide a passare / Che quel giorno in ambulanza ho capito che si muore”), dove il dolore è esteso alle fragilità umane tutte, anche belliche. ‘Fuorionda’ sono i pensieri appuntati e messi da parte e tornati come i dietro le quinte televisivi che improvvisamente diventano centrali. Centrale è anche la voglia di andare avanti. “È una festa la vita, vivamola!”, dice ancora l’artista su Instagram citando il Fellini di ‘8 e ½’, e chi meglio di Jovanotti sa dov’è la festa.
Dentro ‘Il corpo umano’ c’è Lorenzo che canta e balla ma pure quello dai molti episodi filo-cantautorali alla ‘Oh, vita!’, disco del 2017. Lo chansonnier sta in ‘Un mondo a parte’ e nella degregoriana love song ‘Senza se e senza ma’ (“Dammi un’altra possibilità per sbagliare meglio”). Nel disco convivono tutte le anime di Jovanotti, divise per produttori. La mano di Dardust è anche nel reggaeton ‘Universo’ e nella canzone che dà il titolo al disco, che va da Roma ad Atene, da Londra all’Africa, per uno stornello che diventa sirtaki e poi elettronica e infine tribalismo. La mano di Federico Nardelli (Ultimo, Madame, Gazzelle, Ligabue, Colapesce Dimartino) sta nella sopraccitata ‘Senza se e senza ma’ ma pure in ‘101’, un twist futuristico retto da synth bass e con dentro altre constatazioni sulla precarietà (“Pare che sia normale / Che in certe situazioni d’emergenza / Sale una forza immensa”).
La mano di Michele Canova invece, con Jovanotti da ‘Buon sangue’ fino a ‘Lorenzo 2015 CC.’, muove l’easy listening ‘La mia gente’ e il rap patriottico ‘Celentano’, dove l’Oriente si mescola a ‘Yuppi du’ per un ritratto dell’italiano nel mondo (tutto sole pizza e mandolino, sì, ma pure “Italiano, Ferrari, Celentano”) dal quale, attingendo a piene mani, per ironia citiamo: “Ovunque sono stato in giro, ovunque nei miei viaggi / Se dico sono un italiano un po’ come Cutugno, Pausini, Ramazzotti, il Papa, Maneskin, Modugno / Mi guardano e mi dicono il nome di un calciatore / Di un sarto o di un artista, e scatta il buon umore / Io non ho nessun merito, ma chiaro che approfitti / E mostro la mia foto insieme a Pavarotti”.
Profondità umane a sé occupano l’inno alla natura per voce e orchestra intitolato ‘Grande da far paura’ e soprattutto ‘Lo scimpanzé’, il mondo che alza la voce, quello che le parole sono diventate “olio bollente contro la gente”, il mondo che ha perso la misura e la dotazione di base del saper vivere e convivere. A partire dalle piccole cose: “‘Non indicare’, mi diceva mio padre, ‘che è maleducazione’”.