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Volevo essere un Lucio (la bella canzone di una volta)

Lucio Corsi, ‘Volevo essere un duro’ – ★★★★✩ - Un disco che risarcisce da tutti i Rocco Giovannoni incontrati nella vita e dai due di picche in gita

Lucio Corsi
(Facebook official)
27 marzo 2025
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Bentornati cantautori, quelli con gli strumenti veri e la voce che hanno in bocca. Che dobbiamo tenerceli stretti lo dice Dolcenera nell'edizione di oggi; che non se ne fossero mai andati lo sapevamo già, è la televisione che ancora non ce l’aveva fatto sapere.

La recensione del disco nuovo, che si chiama ‘Volevo essere un duro’ proprio come la canzone di Sanremo, Lucio Corsi potrebbe pure farsela da solo, per come bene racconta quello che scrive, citandone la genesi e le fonti ispirative, tempo risparmiato per il recensore. Probabilmente sceglierebbe le parole giuste e le citazioni ad hoc, probabilmente rimarrebbe obiettivo e non s’incenserebbe più di tanto. Perché più sei vero e meno t’incensi. Di solito. Magari non ci direbbe che questo è il suo disco migliore, meglio di ‘La gente che sogna’ (2023), ma forse ce ne ha già data la conferma: “Ho scritto senza staccare troppo i piedi da terra”, ha detto in proposito, e a noi ‘Volevo essere un duro’ pare l’album della maturità. La maturità di un trentenne, certamente, che presto avrà un altro album più maturo, ma la maturità di chi ha fatto un paio di voli pindarici in meno, che a volte non guasta.

Maledetto Rocco Giovannoni

L’album dei ricordi d’infanzia arriva presto o tardi per tutti quelli che scrivono canzoni, dev’essere una cosa fisiologica. Per Lucio arriva ora e dal Festival in poi, sull’accettazione di sé di ‘Volevo essere un duro’ canzone, si sono espressi anche gli psicologi. In ‘Tu sei il mattino’, che il disco lo apre, c’è la scoperta del sesso (“Tra le prime sigarette e le versioni di latino / Lei mi portò nel bagno delle femmine e vidi il paradiso”); ‘Let there be Rocko’ mutua il titolo da un manifesto degli AC/DC (‘Let There Be Rock’, la creazione del rock and roll secondo i fratelli Young e Bon Scott) per raccontarci del bullo della classe, tale Rocco Giovannoni, e delle frustrazioni sentimentali legate alle gite scolastiche. “Sedevo accanto a Rita, che regalava baci / Entrando in galleria, col buio tutto intorno / Io la sentivo mia, aprivo gli occhi e aveva già cambiato posto”. Rita si era seduta vicino a Rocco Giovannoni e per quanto questo sia un disco “di ricordi veri o falsi”, dice l’autore, ognuno ha avuto il suo Rocco Giovannoni e un due di picche in gita.

‘Volevo essere un duro’ è una galleria di ricordi portati anche da una galleria di personaggi. Come ‘Francis Delacroix’. “È un nostro amico fotografo realmente esistente originario di Volpiano (nel Torinese, ndr), è un amico immaginario, è un talkin’ blues vecchio stampo, è Jake & Elwood messi uno sopra l’altro", ha scritto Lucio, devoto dei Blues Brothers, su Instagram. ‘Francis Delacroix’ è una specie di “mio cuggino” ma senza leggende metropolitane, una sorta di Forrest Gump che ha cambiato il corso della storia d’America, un uomo che c’era ogni qualvolta la storia ha svoltato. Nel delirio sanremese dello scorso febbraio, Corsi e l’inseparabile Tommaso Ottomano, co-autore e co-chitarrista, l’hanno cantata dal vivo davanti alla stampa: se non ce l’avesse anticipato lui che era sua, pareva l’inedito di qualche vecchio vate.

Nel cuore della notte

Il popolo dell’Eurovision ha già strabuzzato gli occhi e le orecchie alla vista e all’ascolto del cantautore maremmano, per l’Italia a Basilea tra altra italianità, quella estone di ‘Espresso Macchiato’ e quella di un San Marino autolesionista in gara con una specie di inno di Mameli. Senza balli di gruppo e senza Auto-tune, Lucio a Basilea si porterà solo un’armonica a bocca in più della dotazione di base di chi fa questo mestiere. Voce e strumento, la dotazione dei Bennato (Edoardo ma anche Eugenio), dei Graziani (Ivan) e dei Gaetano (Rino), che diceva che il cielo è sempre più blu e quando Lucio attacca ‘Questa vita’, la pennata dell’acustica quella è. Basta la parola ‘Sigarette’, in una canzone che s’intitola ‘Sigarette’, e arriva Graziani, e alla fine di tutto arriva ‘Nel cuore della notte’, col pianoforte di Venditti (Antonello), ma un Venditti con l’accento toscano.

Ed è bello così, in questo trionfo di cantautori al plurale e al singolare, perché i rimandi sono popolarmente colti e il suono è quello a cavallo tra Settanta e Ottanta: ci sono le acustiche e le elettriche, i fiati e i violini, e il 15enne che ascolta si sente dentro una favola e il 50enne appassionato di musica che da tempo si chiede “dove sia il confine tra la pace e la noia” (‘Nel cuore della notte’), si sente a casa.

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