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La Retrospettiva, una vetrina del ‘carattere britannico’

La rassegna ‘Great Expectations’, a cura di Ehsan Khoshbakht, esplora un periodo cruciale della storia del cinema

Peeping Tom
(Courtesy of Studiocanal)
12 agosto 2025
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Il Regno Unito del secondo dopoguerra in una “vetrina del carattere britannico”: così il curatore Ehsan Khoshbakht ha presentato la retrospettiva di quest’anno del Festival di Locarno, “Great Expectations: British Postwar Cinema 1945-1960”.

Lui, Khoshbakht (1980, Iran) regista, curatore cinematografico e scrittore iraniano residente a Londra, codirettore del Festival Cinema Ritrovato di Bologna, ha confidato in una conversazione con Christopher Small – disponibile integralmente sul sito web di Locarno Film Festival – che la sua conoscenza del cinema britannico era relativamente ampia e dettagliata: “Sono cresciuto guardando film britannici. Ora, questo è molto interessante: sappiamo tutti che Martin Scorsese ha scoperto il cinema britannico in televisione. Questo perché gli Studios di Hollywood erano riluttanti a vendere i diritti alle reti televisive; quindi, i canali americani riempivano la loro programmazione di film britannici. La stessa cosa deve essere successa in Iran, dove sono nato e cresciuto, perché c’era un’ottima collezione di film britannici nell’archivio della National Television. Dopo la rivoluzione, quando i legami con l’Occidente furono interrotti, questi erano gli unici film nell’archivio che potevano ancora essere proiettati. E lo facevano, regolarmente. Così, dall’età di 8 o 9 anni, ho scoperto film di Harold French, Alexander Mackendrick, Ralph Thomas e molti altri”.

Quindici anni fondamentali

Il problema che si è posto il curatore è dei più ardui: guardare a una cinematografia, quella britannica, tra le più complesse visto lo stretto rapporto, di confronto e contaminazione, che ha con quella degli Stati Uniti. Un rapporto che è sempre stato anche sfida, non si può dimenticare che anche oggi gli unici a sfidare gli Usa con alcuni dei film con i maggiori incassi al botteghino di sempre sono stati realizzati nel Regno Unito, tra cui Harry Potter e James Bond. La storia sarebbe lunga a partire da Charlie Chaplin che attraversò l’Atlantico, come Cary Grant e come hanno fatto nel tempo Alfred Hitchcock, Christopher Nolan e Ridley Scott…

Ma torniamo alla retrospettiva e agli anni presi in esame. Nel 2001 la Columbus States University si interessò al cinema britannico di quel periodo arrivando a pubblicare un fondamentale saggio, ‘Simply try for one hour to behave like gentlemen: British Cinema during the Early Cold War, 1945-1960’ firmato da Neal R. McCrillis, perché quei quindici anni, che anche Locarno va a visitare, furono fondamentali per il mondo in generale e per la cinematografia britannica e il suo rapporto con quella statunitense.

Sono gli anni della Guerra fredda, del Blocco di Berlino, della Guerra di Corea (1950-1953), dell’inizio della Guerra del Vietnam: qual era la cultura che sosteneva la Gran Bretagna e le altre nazioni occidentali durante i decenni dell’immediato dopoguerra? Essendo uno dei mezzi di intrattenimento più popolari dell’epoca, i film prodotti negli anni dal 1945 al 1960 esprimevano e plasmavano gli atteggiamenti popolari dell’epoca. Il 1936 era stato l’anno record per il cinema britannico ma è ormai stabilito che l’“età dell’oro” sia avvenuta negli anni Quaranta, quando uscirono le opere più acclamate dalla critica di registi come David Lean, Michael Powell e Carol Reed, e che applaudirono ‘Hamlet’ di Laurence Olivier (del 1948), la prima produzione non americana a vincere l’Oscar come miglior film.

Dobbiamo poi pensare che il pubblico (circa 50 milioni) ha effettuato, nel 1946, 1’635 miliardi di presenze al cinema, ovvero 33 film a persona. E che anche nel 1960, dopo che la televisione aveva fatto enormi progressi (un processo che toccò il fondo negli anni Settanta), il pubblico britannico andava al cinema 515 milioni di volte all’anno.

In cerca della propria identità

Cosa ci dicono questi film sulla cultura britannica durante quegli anni? Sebbene i film non possano essere considerati una prova, sono evocativi di un’epoca e del suo clima culturale. Ecco allora la scelta di Ehsan Khoshbakht: “È difficile credere che la produzione di una delle industrie cinematografiche europee più raffinate e di qualità, che ha regalato a Hollywood tra i suoi artisti e tecnici di maggior spicco, sia ancora così poco esplorata al di fuori dei suoi confini nazionali. Il cinema britannico degli Studios è riuscito a fondere l’intrattenimento di massa con forme stilistiche estremamente innovative e a elevarsi a forma d’arte. Concentrandoci esclusivamente sui film contemporanei (e omettendo film di ambientazione storica, fantasy e di guerra), abbiamo deciso di raccontare la storia di una nazione in cerca della propria identità: in modalità ora cupa e assorta, ora, come nella migliore tradizione della commedia brillante inglese, ilare e mordace. È il ritratto di un Paese in più di 40 film”.

Una scelta condivisibile? Se si voleva raccontare anche lo spirito di una nazione la risposta è senz’altro negativa: si è evitato di raccontare l’anima e le lacrime e i sorrisi di un Paese, si è restati a osservarlo da lontano. Certo ci sono i film dei registi sfuggiti alla caccia ai rossi statunitense, ci sono lacerti della produzione femminile, due film della grande Muriel Box, Premio Oscar per la sceneggiatura non originale per ‘The Seventh Veil’, di cui vedremo ‘The Happy Family’ (1952) e ‘Simon and Laura’ (1955), e i corti ‘A Portrait of Ga’ (1952) di Margaret Tait, ‘The Stranger Left No Card’ (1952) di Wendy Toye, vincitore della Palma d’Oro al miglior cortometraggio a Cannes, e ‘To Be a Woman’(1951) di Jill Craigie, uno sguardo di donna sulla condizione femminile del suo tempo. Saranno ricordati gli Ealing Studios (finanziariamente sostenuti da Rank) che in quegli anni iniziarono a produrre le loro commedie più celebri, con due dei film più ricordati, ‘Whisky Galore’ (1948), e ‘Passport to Pimlico’ (1949). Ma, forse, il film che più può spiegare la rassegna di Locarno è ‘Peeping Tom’ (1960), il film che segnò negativamente la carriera di Michael Powell, un film per cui Derek Hill, critico del ‘Tribune’, suggerì che “l’unico modo veramente soddisfacente per smaltire ‘Peeping Tom’ sarebbe quello di spalarlo e scaricarlo rapidamente nella fogna più vicina”, e che Martin Scorsese ha ricordato insieme al felliniano ‘8 ½’: “Ho sempre avuto la sensazione che ‘Peeping Tom’ e ‘8 ½’ dicano tutto ciò che si può dire sul fare cinema, sul processo di trattare il film, sulla sua oggettività e soggettività e sulla confusione tra le due cose. ‘8 ½’ cattura il fascino e il piacere del fare film, mentre ‘Peeping Tom’ ne mostra l’aggressività, come la macchina da presa violenta… Studiandoli si può scoprire tutto sulle persone che fanno film, e sul numero minore di persone che si esprimono attraverso i film”.

Da non perdere, come tutti i film di questa strana Retrospettiva.