laR+ Locarno Film Festival

Empatia e precarietà in due film al femminile

L’esplorazione della solidarietà in un rigido mondo pastorale. E la storia di una sconfitta generazionale, ma che nell’intento vorrebbe portare speranza

‘Bog neće pomoći’ (God Will Not Help) della regista croata Hana Jušić
(Kinorama)
9 agosto 2025
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Il primo venerdì del Festival ha riservato in competizione due film al femminile che hanno mostrato un’emozione narrativa difficilmente riscontrabile nei colleghi maschi oberati da un peso patriarcale che sembra impossibile da eliminare.

Croazia, Italia, Romania, Grecia, Francia e Slovenia hanno permesso la produzione dell’interessante “Bog neće pomoći” (God Will Not Help) della regista croata Hana Jušić, di cui ricordiamo il premiatissimo “Ne gledaj mi u pijat” (Smettila di fissare il mio piatto) del 2016. A proposito della nuova opera, la regista spiega: “Con questo film ho voluto esplorare il significato di solidarietà ed empatia umana in quei contesti valoriali rigidi, basati su uno spasmodico desiderio di appartenenza e possesso”. Per questo ci riporta agli inizi del secolo scorso, per farci conoscere Teresa (la bravissima attrice Manuela Martelli), una donna cilena che entra in una comunità di pastori croati, presentandosi come la vedova di un fratello emigrato. Sarà Teresa a sconvolgere l’intera comunità, ferma in tradizioni e superstizioni che non permettono a questi pastori di uscire dall’arcano loro convivere con le pecore.

Lei è una donna libera nei sentimenti, ferma in una religione fatta di preghiere che sono litanie convinte in fondo che Dio non aiuterà. La prima persona che incontra è Milena (la brava e intensa Ana Marija Veselčić), lasciata a custodire la casa familiare dei pastori che hanno portato le pecore all’alpeggio. Insieme raggiungono il gruppo che rimprovera Milena, e che accoglie dubbioso la straniera. Lei racconta che il marito, loro parente, era morto in un incendio. Tra i pastori, uno – Ilja (un bravo Filip Đurić) – è attratto dalla donna, dalla sua strana religiosità, mentre per gli altri nasce l’idea che sia una strega. Ilja confida a Teresa di aver avuto il sogno di creare una propria chiesa, ma di avere avuto difficoltà con la chiesa ufficiale. Teresa vuole che lui la confessi, e gli dice l’indicibile. L’uomo l’abbraccia. Intanto Milena guarda tutto da lontano e nulla le sfugge. Dopodiché la situazione precipita.

Un film che si imprime nella mente per la bellezza e profondità del dire della regista, per la classe delle attrici femminili, per il chiedere alla religione di non essere serva di poteri e tradizioni ma di aprirsi alla vita. Cinema che parla al cuore e alla mente.

Miscela di culture e poetiche

Ieri il Concorso internazionale ha proposto anche “White Snail”, firmato a quattro mani da Elsa Kremser e Levin Peter, lei austriaca, lui tedesco. Un film che miscela visibilmente due culture e due poetiche, leggibili soprattutto in un finale narrativamente straordinario di cui non si conosce chiaramente l’intento. In conferenza stampa Levin Peter ha affermato che era di speranza, le immagini e le parole indicano invece una sconfitta generazionale.

Lei, Masha (la bravissima esordiente Marya Imbro), modella bielorussa che sogna di far carriera in Cina, ha ricevuto la conferma di essere stata assunta, e cerca lui, Misha (l’esordiente Mikhail Senkov, sulla cui vita è stata costruita la sceneggiatura), licenziato dall’obitorio dove era impiegato a causa del suo lavoro artistico: i dipinti che realizza sono accusati di essere troppo ispirati alla sua dolorosa professione.

È notte. Lui vive in casa con la madre, l’accoglie con tutto l’amore gentile e delicatamente umile, che è nato per quella fragile ragazza pallida e dolorosamente chiusa in sé e nel proprio destino e che infine è uscita dal guscio. Ha portato con sé due grandi lumache bianche, le teneva in casa come animali da compagnia, e gli chiede di averne cura.

“White Snail” è un film che mostra com’è cambiato il mondo. Dalle speranze della seconda metà del secolo scorso siamo affondati nel cammino precario del nostro tempo. La pellicola ci dice anche dei panorami che hanno davanti i giovani della Bielorussia e del mondo che vivono, che ha la Cina e non l’Occidente come orizzonte. Di certo è un’opera importante, ben fotografata, ma soprattutto ben diretta. Meritati applausi.