Favole e incubi, due estremi ‘in fondo vicinissimi’. A colloquio con un maestro della paura affascinato dal fantastico, destinatario di Pardo speciale
“Non ricordo che film fosse. Ricordo solo che papà mi portò in un teatro di posa. Ero un bimbo di cinque, sei anni, e quello pareva un orco nel dormiveglia. Mi guardò negli occhi, mi tese la sua grande mano e io con ritrosia provai a stringergliela. Lui me la afferrò e mi disse: ‘A regazzì, quanno dai la mano la devi strignere forte e guardare nell’occhi!’. Ecco, racconto questa cosa per spiegare la mia osticità al set cinematografico: per qualche anno non ci andai più”. L’orco era un orco buono di nome Aldo Fabrizi, papà era Mario Bava e il bimbo di cinque, sei anni il figlio Lamberto. È lui che ricorda il suo incontro con il cinema, e fu uno spavento, “intensa reazione emotiva di timore o paura” (l’Enciclopedia della paura) a provocare la quale Lamberto Bava sarebbe diventato un maestro, calcando le orme di papà Mario, vate dell’horror e del thriller all’italiana.
Il racconto di cui sopra viene dalla conversazione di ieri mattina allo Spazio Cinema, una specie di pozzo di aneddoti del Locarno Film Festival dal quale ogni anno si va via dopo averne attinti in quantità. Bava era lì per ritirare un Pardo, statuetta che per un fan del Festival come dichiaratamente è lui lo ha visibilmente commosso. Un Pardo speciale alla carriera per chi “ha popolato le nostre notti di incubi e sogni” (Giona A. Nazzaro). “Mio padre sin da piccolo mi dava da leggere di tutto, ma soprattutto cose fuori dal comune. La letteratura russa, quella francese, ma anche fumetti e libri gialli. A quei tempi chi leggeva un fumetto veniva guardato male. Ho sempre avuto passione per ciò che non era reale. Parlare di assassini mi terrorizzava, ma calati nel mondo del fantastico erano più appetibili”.
Incontriamo Lamberto Bava nel pomeriggio. Romano di Roma, ha spaventato l’Italia e mezzo mondo con almeno dodici film tra cui i celeberrimi ‘Dèmoni’, uno e due; quando non era lui a farci spaventare, comunque dava una mano, assistendo alla regia il padre (che nel 1977 in ‘Schock’ gli concesse di girare alcune scene), Ruggero Deodato (‘Ultimo mondo cannibale’), Dario Argento (‘Inferno’, ‘Tenebre’) e molti altri. ‘Macabro’ (1980) è il suo film d’esordio, assegnatogli da Pupi Avati, cui sarebbe seguita altra paura, al cinema e in tv.
Claudio Simonetti, che per lui scrisse le musiche di ‘Dèmoni’ (da cui un vinile in edizione limitata da 666 copie, le copie del Diavolo), ci raccontò tempo fa di come la gente creda che “quello che ha fatto le musiche di ‘Profondo rosso’” sia un tizio triste e buio, e invece lui è l’esatto contrario. Allo stesso modo, l’81enne Bava è, ‘malgrado’ l’horror, persona di rara ironia e dolcezza: «Certo, visto che qualche anno ce l’ho, ogni tanto cupo lo sono. Alla mia età per stare sul set bisogna essere degli atleti, non so come facciano certi miei colleghi. Da un po’ di tempo mi sono portato verso la scrittura». Nel 2014 ha esordito come scrittore in ‘Solo per noi vampiri’ e nel documentario ‘Bava Puzzle – Il cinema fantastico di Lamberto Bava’ (il puzzle arriva da ‘Body Puzzle, horror del 1992 su un mutilatore con l’hobby di ricostruire corpi) ha raccontato l’intera sua vita professionale.
Contrasto per contrasto, colpisce come estremi della sua filmografia possano essere considerati ‘Dèmoni’ e la serie tv ‘Fantaghirò’, che ha diretto e prodotto. ‘Dèmoni’ e ‘Fantaghirò’, l’horror e la favola, due idee che forse nemmeno sono così lontane tra loro…
«Appartengono al fantastico entrambi. Che poi le favole sono anche un po’ horror e fanno paura ai bambini e pure ai grandi. Il primo film che ho visto in vita mia è stato ‘Bambi’», racconta il regista. «Mi ricordo che quando vidi i cacciatori ammazzare la madre, io e tutti i bambini del cinema ci mettemmo a piangere. Credo sia stato il primo mio impatto con la conoscenza della morte…». Perché è il fantastico che ha sempre affascinato Bava, e ‘Bambi’ fantastico non lo era abbastanza. «Il reale mi mette più paura. Il fantastico in fondo è legato alla conoscenza dell’impossibile, e per avere spiegazioni plausibili all’impossibile serve essere più che religiosi. Non ho mai fatto una seduta spiritica, ricordo che mentre alcuni miei amici, in una stazione di mare in gioventù, provarono a collegarsi con l’aldilà, io presi un gatto e glielo buttai sul tavolo. Ecco, se ci fosse davvero qualcosa di soprannaturale, quello mi interesserebbe molto».
Da appassionato di horror, oltre che artigiano dello stesso, la pulsione della paura non ha mai smesso di interessarlo: «Mi piace provare paura. Al cinema, è ovvio, se in strada qualcuno ti insegue col coltello è diverso». Tanti anni fa gli offrirono di girare ‘Il mostro di Firenze’: «Senz’altro Stefano Sollima avrà fatto molto bene (su Netflix dal 22 ottobre, ndr), io dissi che non avrei portato sullo schermo cose successe veramente, l’idea di riprodurre la tenda con i due poveri ragazzi dentro, aggrediti dal mostro, mi creerebbe qualche problema di coscienza, che forse non tutti credono io abbia, eppure ce l’ho» (ride, ndr).
Il mondo ha guardato e ancora guarda alla produzione horror italiana dei Bava, una filmografia dagli effetti speciali avanguardistici, come avanguardistico può considerarsi molto di quel che è successo nell’horror prima dell’avvento del digitale. Ha nostalgia di quella manualità? «Il digitale ha risolto molti problemi, però costa anche molto caro. Cancellare digitalmente anche solo un filo usato per reggere un oggetto o una persona costa parecchi soldi. E poi c’è digitale e digitale, e il digitale a basso costo si vede».
E ancora: «Il rapporto paura-digitale mi mette qualche dubbio: apro una porta, ci sono un mostro o uno zombie; se li crei col digitale, qualcosa nel nostro cervello scopre il falso. Faccio un esempio: nel bellissimo ‘Mama’ (La madre) di Andy Muschietti, due bambine scomparse da anni vengono ritrovate e si scopre che sono state allevate nel bosco da una donna. Finché vedi le due bambine provi paura, quando arriva la madre costruita in digitale, almeno a me, scappa da ridere».
Ieri Bava ha rivisto ‘Reazione a catena’, capolavoro del padre girato nel 1971, ora restaurato in 4K, film che ha aperto ai più moderni slasher: «Prendiamo la signora in carrozzella: le leggi sul viso una vita di rimpianti, la splendida musica di Stelvio Cipriani fa il resto; all’improvviso, da dietro, un cappio le stringe il collo, la carrozzina scivola via e lei, paralitica, non può alzarsi. Muore impiccata a poca distanza da terra, in una scena di una cattiveria unica ma che girata in quel modo mantiene una specie di ‘romanticismo’. La signora in carrozzella era Isa Miranda, grande attrice italiana del passato, e gli attori nei film servono». Gli chiediamo se il digitale non abbia portato a un abuso di effettistica, a un eccesso di orrorifico che porta all’assuefazione e alla perdita di significato di plot che funzionerebbero anche senza splatterate. Per Bava il problema è un altro: «Se proprio non sono dei successi, se non vai a vederli entro tre giorni dall’uscita gli horror non li trovi più. La cosa vale per tutti i film, perché il cinema è vecchio, è diventato come l’opera, a volte resta solo la romanza. Siamo rimasti appiccicati alle serie, purtroppo il cinema per molti è Netflix o Prime Video».
Lamberto Bava ha ucciso. Sul set, per finta. Lo raccontava di mattina al Forum: “Quando c’erano da fare le cose cattivelle, Dario mi guardava...”. Sua in ‘Tenebre’ la mano nera che accoltella Ania Pieroni, sue molte altre mani. Di pomeriggio, ricorda con noi: «I registi si fidavano di me. Esiste una tecnica per accoltellare. Successe che in un film un’attrice doveva essere uccisa da un ragazzo, e il destino volle che i due attori fossero entrambi di origine tedesca; lei chiese che a farlo fosse lui». Spiega Bava che con il coltello dalla lama rientrante, il colpo dev’essere dato dritto per dritto, perché se dato inclinato la lama non rientra. «Il coltello scivolò in avanti, oltre la protezione sulla schiena della ragazza, e la ferì. Io e il direttore di produzione la portammo in ospedale, tutta insanguinata. La mattina dopo la Rai ne parlò, ma la ragazza stava bene, per fortuna, si era solo fatta un po’ di pubblicità».
Mario Bava ha ispirato Tim Burton, Tarantino è innamorato di ‘Blastfighter’, una specie di Rambo-non-Rambo che Lamberto girò sotto mentite spoglie (John Old Jr), John Carpenter aveva una cotta per Dario Argento tanto da attingere a piene mani dalle sue opere. Cos’ha dunque l’horror italiano che all’Italia lo invidia il mondo intero? «Cosa aveva, semmai», puntualizza Bava. «Parliamo di un’epoca in cui per supplire a mancanze tecniche e di budget l’horror italiano alzò l’asticella della cattiveria, ma fu una caratteristica di tutta quell’epoca». E qualcuno, di quell’epoca, sostiene che ‘Dèmoni’ sia l’ultimo grande horror: «Ho sentito fare questa domanda a Dario Argento e lui rispose che sì, le epoche finiscono». Cicli e ricicli storici a parte, «una causa della caduta del cinema horror-fantastico italiano può stare anche nel fatto che alla fine degli anni 80 i produttori dei film erano diventati le televisioni, Rai e Mediaset, e non tutto l’horror poteva passare in tv».
Lo aveva detto all’inizio di questa chiacchierata: tra horror e favole la distanza è più breve di quel che uno s’aspetti. E dunque siamo a ‘Fantaghirò’, serie fantasy andata in onda sulle reti Mediaset tra il 1991 e il 1996, così popolare da essere diventata di culto: «Non ci sono più favole in tv, e un po’ mi dispiace. Di ‘Fantaghirò’ ne ho fatti cinque più altre favole come ‘Desideria e l’anello del drago’ e altre ancora, venticinque ore di girato che sono tante. Sì, il successo fu molto grande, in Italia e non solo. Ho rivisto la prima stagione a Danzica tempo fa, in mezzo alla gente, sullo schermo grande: a quei tempi Alessandra Martinez e Kim Rossi Stewart erano vincenti. ‘Fantaghirò’ vinse il Telegatto, li vidi in tv da casa e mi resi conto come in mezzo a tutti gli altri attori paressero due marziani».
Belle le favole, ma alla fine è con l’horror che ci lasciamo: «‘Dèmoni 3’? Non so davvero se ci sarà. Sento parlare tanto di remake, sono sicuro che potrei dare qualche consiglio…».