Le parole della madrina del punk nel discorso di fine mandato di Angela Merkel possono bastare. La band che porta il suo nome aprì la Neue Deutsche Welle
I giovani che volessero comprendere il fenomeno Nina Hagen potrebbero cercarlo in diverse sue apparizioni televisive regalate dalla Rete. In una di queste, risalente al 1992, l’artista tedesca partecipa a un dibattito sul canale tedesco Sat.1 dedicato alla legalizzazione delle droghe. In studio c’è anche l’allora Ministro federale della Gioventù Angela Merkel; Nina si arrabbia così tanto che a un certo punto inveisce contro un partecipante alla discussione e lascia la trasmissione. Sembra che la futura cancelliera tedesca non si fosse legata al dito la sfuriata, dato che per il suo discorso di fine mandato, nel 2021, avrebbe scelto citazioni da ‘Du hast den Farbfilm vergessen’ (Hai dimenticato il film a colori). La canzone, pubblicata nel 1974, è stata il più grande successo della madrina del punk, che compirà settant’anni oggi, 11 marzo.
Classe 1955, Catharina Hagen in arte Nina nasce a Berlino Est, figlia dell’attrice Eva-Maria Hagen e dello sceneggiatore Hans Hagen. La sua infanzia non è facile. In un talk show tedesco ha descritto come già all’età di tre anni andasse in chiesa la domenica con i figli dei vicini, i cui genitori “bevevano sempre e puzzavano di alcol”. Nella sua autobiografia scrive della sua infanzia come il momento della presa di coscienza dell’abbandono. È il “pensiero della DDR” di quegli anni, che significava poter lasciare soli i bambini per metà del giorno e della notte. Notti che Nina, secondo i suoi ricordi d’infanzia, trascorreva urlando e gridando. “È stato durante queste notti che è nata la potenza della mia voce e quella dei miei polmoni”.
Nina incontra molto presto le dinamiche del regime, avendo come padre adottivo il cantautore Wolf Biermann, che verrà espulso. All’inizio degli anni 70 un funzionario della sicurezza statale rifiuta la sua domanda di ammissione alla scuola di recitazione, ostacolandone la carriera di attrice, parzialmente ricompensata dalla commedia ‘7 Zwerge’. Quanto alla carriera di cantante, dopo l’espatrio di Biermann la giovane artista si trasferisce in Occidente e a Londra muove i primi passi nella musica. La rivista britannica Melody Maker la definisce “il contributo più importante della Germania alla cultura pop dai tempi di Brecht” e da quella città Nina Hagen riporta il punk in Germania. La sua Nina Hagen Band è considerata la scintilla della Neue Deutsche Welle, la New Wave tedesca, e il primo album, che si chiama come il gruppo, contiene la hit ‘TV Glotzer’, cover in lingua germanica di ‘White Punks on Dope’ di The Tubes. Nel 1978, è subito disco d’oro.
Nemmeno il tempo di assorbire il successo e nel gruppo compaiono i primi dissensi. Per il secondo album, ‘Unbehagen’, musicisti e cantante entrano in studio separatamente. Nonostante ciò, anche il nuovo lavoro riceve un disco d’oro. I musicisti continueranno la loro carriera negli Spliff mentre Nina inizia una carriera da solista che la porterà negli Stati Uniti per raccogliere altro successo. Il suo album di debutto in solitaria è ‘NunSexMonkRock’, del 1982, forse il disco di riferimento. Ma il contatto con la scena londinese non s’interrompe mai: è da lì che arriva la definizione di ‘Godmother of Punk’, madrina del punk. La Madonna tedesca, altra definizione attribuitale, ha influenzato anche Cyndi Lauper, che l’ha pubblicamente collocata tra le sue più alte fonti d’ispirazione.
Regina della provocazione, negli anni Ottanta Nina Hagen è ospite della trasmissione televisiva austriaca ‘Club2’ e mostra al pubblico disorientato una serie di tecniche di masturbazione; ‘Wenn ich ein Junge wär’ – ‘Se fossi un ragazzo’, canzone portata al successo da Rita Pavone in Germania negli anni Sessanta – è da lei riproposta con un testo femminista, con l’ultima strofa che da “se fossi un ragazzo tutto sarebbe più facile” diventa “se fossi un ragazzo avrei più rapporti (sessuali)”.
Negli anni Novanta rivela di credere agli UFO, di interessarsi all’esoterismo e di ispirarsi ai movimenti religiosi orientali. Già nel 1978 aveva cantato di aborto in ‘Unbeschreiblich weiblich’ (“E prima che il primo figlio gridi / Prima devo liberarmi”). Anche il percorso di spiritualità intrapreso da adulta, che l’ha portata fino al battesimo, rientra nell’originalità di fondo. Non meno della sua ultima pubblicazione, ‘Douce nuit’, il suo Natale in versione reggae.