Musica

Herbie Hancock, ottantacinque anni di innovazione

È il re del jazz, come lo chiama qualcuno, e dal suo talento hanno tratto beneficio non solo il jazz, ma pure il rock e il rap

A Montreux nel 2022
(Keystone)
12 aprile 2025
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Il jazz non è mai stato abbastanza per Herbie Hancock, che nel suo repertorio ha anche il rock, il rap e molto altro. Ospite fisso del Montreux Jazz Festival, continua a girare il mondo. Anche all'età di 85 anni compiuti oggi. E malgrado da decenni sia considerato uno dei pianisti più influenti nella storia della musica, non ama esercitarsi al pianoforte. “La vedo così: è qualcosa che non voglio fare, ma devo farlo. E quando lo faccio, sento di avere superato un ostacolo nella mia vita”. Parole sue, recenti, alla Bbc.

Quando le cose vanno davvero bene mentre si esercita o compone, le lacrime gli rigano persino il viso perché suonare il pianoforte è cosa che lo emoziona tantissimo. A volte, però, non riesce a esercitarsi perché si blocca su qualcos'altro: “Su YouTube approfondisco diversi argomenti: nuovi software musicali e argomenti riguardanti salute e tecnologia”. Questo è uno dei motivi per cui non pubblica un nuovo album da circa quindici anni. “Ma questa è la vita”, dice, e continua ad andare in tournée.

Molti lo chiamano il ‘Re del Jazz’, alcuni invece criticano le sue incursioni extra-jazzistiche, critiche che ignora: “Mi piace sempre scoprire nuove regole e poi infrangerle. È così che nasce l'innovazione, è questo che mi spinge ad andare avanti”. La curiosità che lo accompagna sin da piccolo è parte della sua natura ancora oggi: “Cerco sempre un modo per evolvermi, per smontare e rimontare le cose, e non limitarmi a fare sempre la stessa cosa”. Questo gli ha fruttato quattordici Grammy, un Oscar e il più recente dei premi, il Polar Music Prize quest'anno. In mezzo a tutto questo, “devo essere fedele alle mie convinzioni – dice –, è l'unico modo per rispettare me stesso”.

‘Un vero snob del jazz’

Herbert Jeffrey Hancock nasce il 12 aprile 1940 a Chicago da una famiglia afroamericana della classe media. Figlio di un droghiere e di una segretaria, fin da ragazzino prende lezioni di pianoforte. I primi concerti e poi il successo nel 1962 con il suo album di debutto, ‘Takin‘ Off’. Il brano ‘Watermelon Man’, in esso contenuto, è ancora oggi considerato uno dei brani jazz più influenti e importanti di tutti i tempi. Nel 1963 si unisce al quintetto di Miles Davis. Hancock a quel tempo era “un vero snob del jazz", un purista, confessa. Ma poiché Davis ascoltava di tutto – Jimi Hendrix, Manitas de Plata, Cream e Rolling Stones – Hancock si aprì anche ad altre influenze, “perché volevo essere alla moda e cool come Miles”, che per lui è “il re del cool”. Suonare con Davis è sempre stato “intimidatorio”, dice ancora il pianista. “Ho sempre voluto dare il massimo perché lo ammiravo moltissimo. Ha avuto un ruolo fondamentale nella mia crescita come musicista. Quando tutto andava bene, la vita valeva la pena di essere vissuta”.

Hancock non si è tirato indietro nemmeno nel comporre colonne sonore per spot pubblicitari, film e serie Tv. Ha composto le musiche de ’Il giustiziere della notte’ (1974) con Charles Bronson e ha vinto un Oscar per la colonna sonora di ‘Round Midnight’ (1986), film su jazz di Bertrand Tavernier. A metà degli anni ’80, con ‘Future Shock’, si è avvicinato con successo all'hip-hop. Più recentemente, nel 2010, ha pubblicato l'album ‘The Imagine Project’, tributo a John Lennon nel quale riunisce star come Seal, Pink, Anoushka Shankar, la Dave Matthews Band e Juanes.

La droga per curiosità

La sua curiosità non gli ha sempre portato cose buone. Negli anni Novanta, Hancock ha lottato contro la dipendenza dal crack, come ammesso nelle sue memorie. Mentre nascondeva la sua dipendenza, sprofondava sempre di più. Alla fine lo hanno aiutato la moglie, la tedesca Gudrun Meixner, con la quale è sposato dal 1968, e la figlia. Oggi è ottimista, anche grazie all'intelligenza artificiale. Crede fermamente che questo aiuterà l'umanità: “Quando uso ChatGPT o Siri sul mio iPhone, dico sempre ‘grazie’ e loro di solito rispondono ‘prego’. Cerco di trattare l'intelligenza artificiale come se fosse un essere umano, e questo si manifesta in modi estremamente positivi e mi fa sentire meglio”.