L'intervista

Rachel Z e Omar Hakim, guaritori di anime

Tra moglie e marito puoi mettere (anche) il jazz. Lui ha suonato con Miles, lei è grata a Pino Daniele. Stasera alle 20.30 per il Jazz Cat Club

Ad Ascona, in trio con Jonathan Toscano al basso
14 aprile 2025
|

Sono in tournée europea e stasera alle 20.30 approdano al Teatro del Gatto di Ascona, ospiti del Jazz Cat e della rassegna di Rsi Rete Due ‘Tra jazz e nuove musiche’. Sono Rachel Z al pianoforte e Omar Hakim alla batteria, in trio con Jonathan Toscano al basso. Marito e moglie, Rachel e Omar sono due protagonisti assoluti della scena internazionale. Lui, formatosi alla corte di Elvin Jones e Art Blakey, si è affermato come batterista della leggendaria band Weather Report e ha lavorato in ambito jazzistico con Miles Davis, George Benson e John Scofield, oltre che come turnista con artisti come Sting, David Bowie e tanti altri. Rachel è stata stretta collaboratrice di Peter Gabriel, Wayne Shorter, Stanley Clarke, Marcus Miller, Al Di Meola e degli Steps Ahead. E vanta tredici album come bandleader.

Rachel, se la tua musica fosse un colore, quale sarebbe e perché?

Sarebbe sicuramente turchese – come il mare, come l’acqua. E poi rosa, come le bambole in stile anime. È il colore della felicità. E viola, per la spiritualità.

Che bella immagine. Si dice spesso che il jazz è una lingua universale: c’è un luogo nel quale hai sentito davvero che la tua musica aveva un significato speciale, una forza particolare?

Suoniamo molto in Italia, e per me è assolutamente il posto preferito dove esibirmi. Anche la Svizzera, a dire il vero, perché ci sono i laghi. Amo i laghi e l’acqua. In Svizzera ci sono laghi bellissimi tra le montagne, e in Italia, per esempio vicino a Napoli, le montagne scendono direttamente nel mare. Anche in California c’è questo incontro tra montagne e oceano. Lo trovo meraviglioso. La nostra musica nasce proprio da questa bellezza. E poi, come dicevi, il jazz è una lingua internazionale. Proprio per questo, riesce a toccare profondamente in quei luoghi che attraversano momenti difficili. Come in Russia, dove la gente ha bisogno di essere sollevata. Anche nel nostro Paese molte persone sono tristi. Suoniamo spesso negli Stati Uniti e cerchiamo di portare buone vibrazioni e un messaggio di pace a chi sta soffrendo.

Ce n’è proprio bisogno…

Esattamente. È proprio per questo che, anche se il mondo è un po’ folle in questo momento, sentiamo che andare in tour è la cosa migliore che possiamo fare: per le persone ma anche per noi stessi, per il nostro equilibrio mentale. Condividere la musica e i suoi messaggi d’amore, di spiritualità, di pace nel mondo. Fa bene anche a noi. Il mio brano ‘Save My Soul’ è dedicato proprio alla pace nel mondo.

Dove siete in tour in questo momento?

Samo appena stati ad Atene e Praga, adesso suoniamo in Svizzera, e poi nel Regno Unito. Stiamo girando un po’ dappertutto, anche in luoghi che stanno affrontando momenti difficili. Più in là andremo in Russia, per poi tornare in Italia quest’estate.

Tu e Omar condividete la vita e la musica. Domanda scherzosa: chi è meglio, il marito o il musicista?

Wow, questa è difficile! Omar è fantastico come batterista ma come marito è davvero una persona meravigliosa.

Ma non vi capita mai di discutere su chi deve guidare il groove?

(Ride, ndr). Nel nostro trio jazz lui mi sostiene molto – è sempre stato un mio sogno suonare jazz con lui. È così libero ed energico. Poi abbiamo anche una rock band insieme, si chiama Sonic Boom Squad. Lui canta, suona la chitarra, la batteria… e io suono con lui. In quella band, lui è il leader. Nel trio jazz, invece, lo sono io, soprattutto perché compongo la musica.

Ad Ascona suonerete in trio. Avete in scaletta anche qualche cover pop o qualcosa in stile Weather Report?

Sì! Facciamo una cover dei Foo Fighters, ‘These Days’, che è anche nel nostro nuovo album. Suoniamo anche ‘Lost’ dei Coldplay. E poi, se i promoter sono d’accordo, Omar potrebbe invitare un ospite speciale per eseguire un brano dei Sonic Boom Squad. Quindi... forse ci sarà una sorpresa!

C’è una canzone che avresti voluto scrivere tu? Magari al di fuori del jazz, che ti ha ispirato particolarmente?

Direi ‘In Your Eyes’ di Peter Gabriel, canzone bellissima, con testi incredibili, versi come “I see the doorway to a thousand churches in your eyes”. È poesia pura. Ho avuto la fortuna di suonare con Peter Gabriel, e amo profondamente la sua musica. È un’icona per me.

Se potessi fare una jam con un musicista, del passato o del presente, chi sceglieresti?

Porterei indietro Prince.

Hai mai suonato con lui?

Mi aveva chiamato per chiedermi di suonare con lui, ma non ho potuto accettare in quel momento. Quindi no, purtroppo non ho mai suonato con Prince.

Il jazz è basato sull’improvvisazione. Ti è mai capitato che qualcosa andasse storto sul palco ma si trasformasse in un momento magico?

Sì. Wayne Shorter diceva che amava quando la band si perdeva nella musica. Ed è verissimo, perché quando succede, tutti iniziano davvero ad ascoltarsi. Si crea un’unione fortissima e grazie all’improvvisazione, che è il dono più grande del jazz, si possono trasformare gli imprevisti in momenti speciali.

C’è qualcuno a cui ti senti grata per la tua vita, la tua carriera, la tua musica?

A livello musicale, Miles Davis e John Coltrane, ma le persone che mi hanno realmente aiutata sono state Mike Mainieri (Steps Ahead, ndr), Wayne Shorter, Peter Gabriel, Lenny White e la Columbia Records quando ero giovane. Ma soprattutto Pino Daniele, ho suonato con lui per vent’anni, e mi ha sempre spronata ad avere una mia band e a portare avanti la mia musica. Gli sono grata.

Tu e Omar avete un curriculum davvero impressionante…

Grazie. Abbiamo resistito nel mondo della musica per tanti anni, e continueremo finché vivremo! Amiamo suonare e siamo in tour con due band. È una bellissima avventura.

Qual è la cosa più importante per diventare un vero musicista?

Quando sei giovane, esercitarti tantissimo, anche dodici ore al giorno. Poi, una volta che hai acquisito tecnica e abilità, devi concentrarti su quale risultato vuoi ottenere, qual è il tuo scopo, qual è la tua visione. Bisogna sempre guardare in alto. Devi sapere qual è il tuo obiettivo.

Un’ultima domanda: cosa diresti per invitare il pubblico al tuo concerto?

Che vivranno un’esperienza meravigliosa! Li solleveremo, li faremo ballare e guariremo le loro anime. Questo è il nostro motto.