Pregevole edizione quella appena conclusa, però sotto il cappello ‘LongLake’ l’evento rischia di perdere in riconoscibilità. La Città ne tenga conto
Partiamo dalla fine, dal popolo senegalese giovane che quasi non ci crede di avere appena visto Youssou N’Dour. Lo aspettano da uno dei due lati di palco ben protetti, dai quali gli artisti salgono o scendono, e sperano di vederlo sbucare. La security dice loro che è già partito (“Dannato Salvini!”, esclama un ragazzo, con imprecazione aggiornata ai tempi nostri, qui edulcorata). E invece l’ambasciatore della musica africana è ancora nel backstage, ma scivolerà via nella notte luganese vestito della stessa riservatezza con la quale era arrivato. “È venuto a Parigi, ma il biglietto costava carissimo!”, dice un altro giovane che di non avere speso un solo franco non si capacita; “Lo vidi con Peter Gabriel. Quanti anni fa? Almeno una trentina”, dice una signora. Noi la mettiamo sull’età e le diciamo che nel settembre del 1988 eravamo al Comunale di Torino, oggi Olimpico, per il tour di Human Rights Now, quando la voce del Senegal e l’ex Genesis si unirono a Sting, Tracy Chapman e a Bruce Springsteen per raccogliere fondi da destinarsi ad Amnesty International. A rappresentare l’Italia c’era Claudio Baglioni, cui una parte del pubblico italiano lanciò le arance, reo (Baglioni) di avere soffiato il posto a Vasco, che in verità al tempo cantava canzoni meno pacifiste di quelle che cantava Baglioni. Quest’ultimo deve aver fatto ripulire la Rete da quelle immagini abbastanza tristi, nelle quali però si vedeva proprio Youssou N’Dour salire per primo sul palco a placare i teppistelli del rock. In ‘Oltre’, dell’italiano, il senegalese avrebbe poi cantato nella bella ‘Le mani e l’anima’. Ma questa è un’altra storia.
La storia di oggi è che si è concluso Estival Jazz 2025, di sabato sera con l’ambasciatore di bianco vestito sul palco e intorno una quindicina tra musicisti e danzatori (due), nell’esplosione di colori tipica di quando la rassegna luganese si sposta verso l’Africa. E nella giusta alternanza tra l’allegra frenesia di ‘Happy’ e il sole della bellissima ‘Birima’, tributo alle radici storiche del Senegal con l’incantevole vocalist a doppiare il ritornello prima di trasformarsi in Neneh Cherry e cantare in duetto l’eterna e trilingue ‘Seven Seconds’, a uso e consumo dei telefonini. Detto ciò, un passo indietro…
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Youssou N’Dour
Di giovedì, vista la brezza che tira, più che Estival pare Autumn Jazz. La prima volta era il 1979 e Jacky Marti riporta in vita la jam session con Dexter Gordon e le altre stelle di quell’anno. “Da allora la terra si è capovolta almeno un paio di volte”, dice Mister Estival, “è cambiato tutto ma non la nostra passione nel condividere la musica dal vivo”.
Era cominciato così, giovedì scorso, l’Estival Jazz numero 45, fiore all’occhiello dell’estate luganese con tutte le difficoltà ma anche con tutte le novità: tre sere, come una volta. Della prima, Lugano ricorderà il new soul di Alina Amuri, svizzera di origini congolesi e fantastica voce, in belle e minimalistiche composizioni come ‘Daughter’. Niente di meglio per aspettare in modo costruttivo il big della serata Al Di Meola, venuto a presentare ‘Twentyfour’, l’album più recente, accennato dapprima in trio e poi con l’Orchestra della Svizzera italiana. A cominciare da ‘Ava’s Dance in the Moonlight’, dedicata alla figlioletta. Dallo stesso disco arrivano ‘Tears of Hope’ e il ‘Fandango’ che lo apre. Sempre per l’Osi, Di Meola ha scelto ‘Misterio’, dalla ‘World Symphony III’ che contiene anche il ‘Double Concerto’ di Astor Piazzolla. E poi ‘Café 1930’, dallo stesso Piazzolla arrangiata per l’album ‘Heart of the Immigrants’, e la complessa ‘Milonga Noctiva’ del 2018.
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Alina Amuri
“Ho ascoltato la migliore orchestra della mia vita”, scriverà il giorno dopo Di Meola a Jacky, che autorizza la diffusione delle sue parole: “La coesione musicale, l’energia e la sensibilità sono state straordinarie. Suonare con loro è stata un’esperienza ispirante e gratificante al tempo stesso. Mi piacerebbe collaborare ancora in futuro, magari ragionando sull’idea di un tour tra Svizzera, Austria e sud della Germania. Credo che una collaborazione potrebbe portare a qualcosa di speciale in quella parte d’Europa”.
L’atto più notturno di Estival è di norma energico e ha visto il ritorno dei Patáx, band fusion che più fusion non si può, visto che fondono ‘Rosanna’ dei Toto con il flamenco, danzato da Sara Sánchez su apposita piattaforma amplificata, quella che servirà poi per il tip tap su ‘Kiss’ di Prince. ‘Here Comes the Sun’ di George Harrison ha i tempi dispari del prog, ‘Eleanor Rigby’ dei Beatles quelli del metal e del latin jazz messi insieme come gemelli separati alla nascita. Altra lucida follia arriva nella conclusiva ‘Thriller’, tolta al Quincy Jones elettronico e restituita al funk più puro (sempre con flamenco al seguito). A guardarli e ad ascoltarli, pare che i Patáx abbiano messo la storia del rock nella lavatrice o affidata a ChatGPT, non fosse che queste cose le facevano prima dell’IA. Applausi e buonanotte alla città.
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Al Di Meola con l’Osi
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Osi
Di venerdì, in piazza ci sono almeno un paio di papaline zawinuliane e il suono dal palco è meraviglioso. Come quello del sax del 72enne Bob Mintzer, che dovrebbe essere patrimonio dell’umanità come la fusion degli Yellowjackets del membro originario Russell Ferrante, piano e tastiere, con Dane Anderson al basso e dal grande William Kennedy alla batteria. Alla voce c’è Kurt Elling, per l’annunciato tributo agli Weather Report in quella che tra cantante e band è una festa di Grammy. Il tributo si estende ai singoli: a Jaco Pastorius autore di ‘Continuum’, pane per Anderson, a Wayne Shorter per ‘Elegant People’, su ‘Black Market’, e a Joe Zawinul per ‘In A Silent Way’. Zawinul che con The Zawinul Syndicate proprio a Estival, nel 2007, registrò parte di ‘75’, album Grammy nel 2010. “Siamo qui per ringraziare gli Weather Report, per le registrazioni e le composizioni dedicate alla gioia e alla musica. Cantiamo per la pace, la compassione e la gioia di tutte le genti”, dice Elling in italiano maccheronico ma sincero, tra un duetto scat vs batteria e intervalli vocali impossibili. E il bis, manco a dirlo, è ‘Black Market’.
Dopo breve attesa che cessi la musica dal palco in Piazza Manzoni, dove nelle pause di Piazza della Riforma suona la scena svizzera, ecco i Take 6, gruppo vocale per eccellenza. “Questa è la nostra seconda casa”, dice uno di essi. Un tributo ai Beatles (‘Got to Get You Into My Life’), uno ad Al Jarreau (‘Yo’ Jeans’, con Elling sul palco) e i sei solisti rivisitano uno dei capolavori del pop, ‘Sailing’ di Christopher Cross, ma anche ‘Homeless’ di Paul Simon e ‘God Bless the Child’ di Billie Holiday. C’è il momento del “su le mani” anche per i Take 6, più volte Grammy, ed è bellissimo notare come molti di noi umani sappiano fare cose complicatissime come progettare palazzi, guidare aerei supersonici o riclassificare i bilanci delle aziende, ma non battere le mani a tempo su ‘Stand By Me’. È ancora lo spirito di Al Jarreau ad aleggiare sul finale, in ‘Roof Garden’.
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Kurt Elling & Yellowjackets
E poi il funk. “Non conosco l’italiano, conosco solo il linguaggio dell’amore”. Sono passati dieci anni e più dalle Estival Nights, l’appendice invernale di Estival e sopra un palco molto Barbie (“glittery and fun” come il suo nuovo disco) sala la bionda olandese Candy Dulfer, voce e sax, con band e sezione fiati. Ha un disco nuovo e lo accenna, poi regala la sua hit, ‘Lily Was Here’, scritta con Dave Stewart (Eurythmics) e introduce la cantautrice americana Shelby J: “Abbiamo lavorato entrambe per Prince – dice Candy – senza mai essere state sullo stesso palco, ma quando si è fan di Prince, si fa tutti parte di una stessa famiglia”. E la famiglia suona il medley funk che Prince propose a Montreux nel 2013, tre anni prima di morire. Poi Candy suona la bella ‘The Climb’ ed è festa con il classico ‘Pick Up the Pieces’. E un’altra notte è andata.
È sabato e apre Gonzalo Rubalcaba, 34 anni dopo la sua prima apparizione a Estival. “Gli consegnammo la targa come migliore promessa”, ricorda Jacky con il pianista cubano al suo fianco. Rubalcaba apre con ‘Infantil’, brano dedicato a John McLaughlin, e chiude – non prima di avere ricordato il suo Estival più recente, insieme a Richard Galliano – con “uno di quei classici che permette a chiunque di parlare uno stesso linguaggio”: con il solido Matt Brewer al contrabbasso ed Eric Harland alla batteria, Piazza della Riforma ascolta ‘Caravan’ di ‘Sir’ Duke Ellington, applaude e Rubalcaba ringrazia.
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Golzalo Rubalcaba
Servono tre quarti d’ora di allestimento palco per passare dal jazz senza sconti al pop-rock senza fronzoli. Un emozionato Jack Savoretti con sontuosa rock band al seguito prende il palco sulle note di ‘Non ho capito niente’, dall’album in italiano ‘Miss Italia’ (2024), che unita a ‘Candlelight’, da ‘Singing To Strangers’ (2019) forma un carico emozionale che rischia di sovrastare l’artista italo-britannico, con trascorsi di gioventù a Carona: “L’ancora che mi teneva attaccato qui si è staccata”, dice riferendosi alla morte del padre che gli ha chiamato l’album in italiano, ma l’affetto del ‘suo’ Ticino in platea gli dà forza. Canta ‘Greatest Mistake’ dedicandola alla polizia di Lugano (“Chiedo scusa al Municipio, quante volte mi hanno detto non potevo suonare per strada alle 2 del mattino e senza un permesso!”) e snocciola altri suoi successi, da ‘What More Can I Do?’ a ‘Dancing Through The Rain’. Prima che Youssou N’Dour si prenda la scena, Jack chiude con ‘Io che non vivo’, tra le bonus track del suo ‘Europiana’ (2021), cantata come la cantò il suo autore, Pino Donaggio. Poi saluta: “Fuori è un mondo di pazzi. Prendete l’amore che c’è in questa piazza e fatelo girare”.
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Jack Savoretti
“Ci vorrebbero più concerti. Di Estival, non di LongLake”. Parole di venerdì scorso di Jacky Marti, che parevano quelle di quando Marco Solari ricordava alla politica che il Locarno Film Festival è evento culturalmente importante, e qualche franco in più non guastava. Da una parte capiamo i dolori di Mister Estival che ha visto la sua creatura finire sotto il cappello del LongLake, tra altri palchi e altri concerti e a rischio ridimensionamento, più comunicativo che economico. Già la Rsi ci ha messo di suo, rinunciando alle dirette televisive. I video che scorrono in tempo reale sullo schermo del palco sono solo a uso e consumo di chi c’era, mentre tutto il ben di dio visto e ascoltato da Alina Amuri a Youssou N’Dour sarebbe da diffondere come si faceva un tempo, e come ancora Montreux fa.
Una sensazione personale. Estival non può essere “uno degli eventi dell’estate luganese”, perché è sempre stato “l’evento dell’estate luganese”. Vista la popolarità all’estero, Estival è sempre stato uno dei grandi eventi musicali dell’estate svizzera. Estival è da 45 anni le “musiche dal mondo” con le quali oggi si compongono i cartelloni un po’ ovunque. La Città di Lugano, che di musica capisce e va lodata per aver salvato la kermesse, faccia un altro sforzo: le conceda una collocazione temporale al di fuori del LongLake, affinché Estival resti un evento unico in tutti i sensi, così come l’abbiamo conosciuto. Perché di Estival ce n’è uno solo. Come la mamma.
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Jacky Marti