laR+ Blues to Bop

Nella Lugano un po’ Ibiza, il blues resiste

Di sabato tra i palchi della rassegna, dal cantautorato di Joachim Cooder alla magia di mezzanotte di Billy Branch (reggaeton incluso)

Gennaro Porcelli
(Ti-Press)
20 luglio 2025
|

Si dice che il blues sia nato dal dolore, ma a Lugano sembra più una faccenda di resistenza. Resistere al meteo, al fatto che un festival musicale con trentacinque anni di storia debba contendersi l’attenzione con il rumore di fondo del sabato sera. Eppure, il Blues to Bop continua a proporre un’idea di musica che non ha niente da dimostrare.

Pochi ma buoni

Quando Joachim Cooder sale sul palco, accompagnato da Adriano Viterbini, il pubblico non è ancora numeroso. Viene da pensare: peggio per chi non c’era. Il suono è perfetto, avvolgente come crema solare sulla pelle d’agosto. E nella quiete del bosco, la musica di Cooder – ibrido tra country e racconto orale – trova casa. Cooder ringrazia in un italiano incerto, accenna a un trasloco ideale e poi racconta. Storie che sembrano favole, canzoni che iniziano nei boschi della memoria e finiscono tra le mani dei suoi figli. Bambole ereditate con parti mancanti che terrorizzano i bambini (‘Down to the Blood’), motivi dell’infanzia che oggi sono i preferiti dei suoi figli, una canzone composta per una pianta, “per aiutarla a crescere” (‘Fuchsia Machu Picchu’). Il pubblico – ristretto, sì, ma affezionato – lo placca al momento dei saluti con un “We want more”, e forse davvero, per un attimo, lo convinciamo a cambiare residenza.


Ti-Press
Joachim Cooder

La chitarra come arma di seduzione di massa

Se Cooder è un cantastorie, Gennaro Porcelli, con band, entra in scena con le mani sulla chitarra così rapide che sembrava di vedere The Mask in azione. È un blues erotico, che costringe le persone a muoversi. È tutto fisico, carnale, come il momento in cui si accende una sigaretta, con un gusto tale da far vacillare anche i redenti più convinti. Il Boschetto si riempie, le persone si staccano dalle sedie conquistate con fatica: ci si alza, si balla, si suda. Le sue canzoni hanno l’effetto di un afrodisiaco – sembrano scritte per far impennare le statistiche demografiche. Con quell’inglese tirato a lucido e quei riff micidiali, ti viene da dire solo: holy cow. E, con un bis, apre la strada alla star della serata: Billy Branch & The Sons of Blues.

Il braccio di ferro del sabato sera

Con la notte sempre più nera, il Boschetto si affolla. Magia della musica? Forse. Oppure, più prosaicamente, basta togliere il prezzo del biglietto. Segno che la cultura gratuita funziona ancora. Billy Branch fa la sua magia di mezzanotte. La voce è ruvida, la band perfettamente sincronizzata in un blues pirotecnico, e la pioggia si ritira in un angolo del cielo, come se anche lei, per una volta, avesse capito quando è il caso di aspettare.

Ma se dentro al Boschetto regna il blues, fuori Lugano finge di essere Ibiza. A Punta Foce, in teoria, c’era un concerto blues con Egidio Ingala & The Jacknives. In pratica, la sua armonica si è fatta largo tra i beat reggaeton di Lugano Marittima. È la stessa situazione – ma più digeribile – che si è verificata ai concerti sul palco di Rivetta Tell. Un cortocircuito già visto in altri tentativi di revival (come dimenticare il Summer Jamboree ticinese) quando l’intento è evocare un’atmosfera, ma i locali continuano a sparare Daddy Yankee. Se Lugano vuole continuare a investire in eventi che costruiscono un’identità culturale, forse servirebbe più coerenza collettiva.

Blues to Bop ha portato a galla una questione che altrove non si pone: chi decide, davvero, l’identità di Lugano? Perché da fuori pare un eterno addio al celibato.


Ti-Press
Billy Branch