‘La viola non ha la stessa ampiezza di repertorio del violino o del violoncello, ed è questo che la rende emozionante’. Il 24 luglio a Lugano il recital
Violista tra i più brillanti della sua generazione, Sào Soulez Larivière sa unire rigore tecnico, profondità espressiva e curiosità intellettuale. Vincitore di concorsi internazionali e attivo sia come interprete che come docente, sarà protagonista di un atteso recital a Ticino Musica, giovedì 24 luglio alle 21 nell’Aula Magna del Conservatorio a Lugano.
Lei ha costruito una carriera internazionale vincendo concorsi prestigiosi. In che modo queste esperienze l’hanno formata e qual è la sua opinione sulla competizione in musica?
I concorsi possono sembrare di natura poco musicale: si cerca di distillare qualcosa di profondamente personale e ricco di sfumature in un formato adatto al confronto e al giudizio. Eppure sono innegabilmente motivanti, spingono a sfidare sé stessi. In questo modo si scopre molto di sé: come si gestisce la pressione, come si cresce e si sviluppa la propria voce musicale. Detto ciò, i concorsi sono solo uno dei tanti percorsi possibili durante gli studi. Possono aprire delle porte, ma non dovrebbero mai essere l’unica misura del progresso o del successo.
Cresciuto tra Parigi, la Scuola Yehudi Menuhin e Berlino, e ora insegnando al Mozarteum di Salisburgo, che valore ha per lei il dialogo tra esecuzione e insegnamento?
Crescere in una scuola di musica con studenti provenienti da tutto il mondo e vivere in diverse città europee mi ha dato un forte senso di ‘cosmopolitismo’. Mi ha insegnato l’apertura e la curiosità verso le persone e le culture. Insegnare approfondisce costantemente questo aspetto. Non si tratta solo di guidare qualcun altro, ma di ascoltare e imparare a comunicare chiaramente. Lo stesso istinto di connettersi e rispondere al momento, è anche quello che cerco di ottenere sul palco.
Lei è un forte sostenitore dell’espansione del repertorio per viola, attraverso arrangiamenti e commissioni di nuove opere. Qual è il suo rapporto con il repertorio non tradizionale e come influenza la sua personalità artistica?
È vero che la viola non ha la stessa ampiezza di repertorio del violino o del violoncello. Ma per me è proprio questo che la rende emozionante. C’è spazio per sperimentare, innovare, reimmaginare. Trovo incredibilmente gratificante far conoscere agli ascoltatori qualcosa di nuovo, sia che si tratti di un compositore meno conosciuto, di un pezzo contemporaneo o di contestualizzare opere più antiche. Mi spinge a essere curioso e lungimirante.
In un mondo sempre più digitale, che posto pensa che abbiano la musica classica dal vivo e i festival?
La musica classica dal vivo è oggi più importante che mai. Offre qualcosa che sta diventando sempre più raro: la possibilità di essere immersi, di rallentare, di riflettere. I festival sono spazi preziosi in cui le persone possono riunirsi non solo per ascoltare, ma anche per entrare in contatto tra loro, condividere esperienze e sentirsi parte di qualcosa di reale e autentico.
C’è una routine o un’impostazione mentale che la aiuta a centrarsi prima di esibirsi in un concerto?
Cerco di non avere una routine fissa. Mi piace l’idea che ogni concerto sia unico. Certo, ci sono modi in cui mi preparo o mi concentro, ma lascio spazio a come mi sento in quel momento. Salire sul palco mi sembra sempre un privilegio: un’occasione per condividere qualcosa di significativo, qualcosa che avviene interamente qui e ora.
In vista del suo concerto in Ticino, cosa spera di condividere con il pubblico?
Il programma che eseguirò – Lachrymae di Britten, Märchenbilder di Schumann e la Sonata per viola di Shostakovich – ruota attorno al tema del tempo, della memoria e della riflessione. Sono opere profonde, che parlano in modo intimo ma anche urgente al presente che stiamo vivendo. Spero di poter offrire a ciascuno l’occasione di vivere la propria esperienza, nel modo più sincero possibile.