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I voli interrotti degli uccelli che stiamo per perdere

Dal grifone indiano ai corvi delle Hawaii, Thom van Dooren esplora le connessioni spezzate tra specie e l’impatto devastante dell’uomo sugli ecosistemi

Un albatros in volo
(JJ Harrison/Wikimedia Commons)
1 luglio 2025
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Se pensate al dodo, potreste ricordare che era un uccello, non volava, magari viveva a Mauritius. Sicuramente saprete che è estinto. Pur non trattandosi della prima scomparsa in cui abbiamo recitato un ruolo da protagonisti, è la prima che ci è stata addebitata per iscritto. ‘In volo. Vita e morte sulla soglia dell’estinzione’ di Thom van Dooren (Edizioni Nottetempo 2025) non si limita a raccontare storie di estinzione, ma cerca di farlo in modo nuovo: sottolineando, per esempio, le connessioni, o “entanglements”, tra le diverse specie.

La scomparsa di queste ultime ha ripercussioni su molte altre, facenti parte della rete. È il caso del grifone indiano, che consumando le carcasse in decomposizione elimina potenziali fonti di contaminazione di acqua e terreno, prevenendo la diffusione di patogeni. Ora che questi uccelli sono diminuiti sensibilmente, cani e topi potrebbero rimpiazzarli, ma con minore efficienza. Quello dei cani randagi in India, poi, è un vero e proprio problema, con circa 17 milioni di abitanti morsi ogni anno (uno ogni due secondi) e 25’000-30’000 morti ogni anno per rabbia (uno ogni mezz’ora). Malattia che non colpisce solo le persone, e che causa atroci sofferenze anche ad altri esseri viventi.

Il Millennium Ecosystem Assessment, poi, sottolinea come “il deterioramento degli ecosistemi e la perdita di biodiversità avrà in generale un impatto maggiore sulle comunità povere e rurali (due gruppi peraltro composti frequentemente dalle stesse persone), che tendono a dipendere direttamente dal proprio ambiente per quanto riguarda i ‘servizi ecosistemici’, come per esempio l’eliminazione delle carogne o l’approvvigionamento di cibo e di acqua potabile”. Lasciare che il termine estinzione si riferisca solo alla morte dell’ultimo individuo di una specie significa avere un concetto estremamente impoverito di quest’ultima.

Vite prima dell’umanità

È significativo come diverse specie a rischio d’estinzione non ci temano: è il caso degli albatros, o dei corvi delle Hawaii. Questi ultimi, estinti in natura, con ancora un centinaio di esemplari in cattività, erano addirittura incuriositi dagli umani, mentre gli albatros schioccano diffidenti il becco verso le persone vicine al nido, per poi disinteressarsene. Per chiunque abbia avuto incontri con gli animali selvatici, si tratta di comportamenti che ci sorprendono. Eppure, “milioni di anni prima della comparsa della specie umana, gli albatros stavano già planando, danzando e pescando attraverso questo grande pianeta blu”. I mammiferi terrestri (che ora minacciano moltissimi uccelli sulle isole) non sono stati un fattore ambientale rilevante nella storia evolutiva di numerose specie.

“Il loro comportamento ci ricorda il lungo periodo in cui la nostra specie ha contato così poco nel destino delle altre che molto semplicemente non venivamo – e non veniamo tuttora – percepiti come un elemento rilevante del loro mondo. Tuttavia, dobbiamo anche essere consapevoli che oggigiorno non c’è nulla di più lontano dalla realtà: ormai, ‘noi’ costituiamo infatti la maggiore minaccia – e su molteplici fronti – alla possibile perpetuazione degli albatros. In loro presenza, siamo in qualche maniera costretti a riconoscere sia quel lungo passato che questo tragico presente. In breve, siamo portati a prendere coscienza dell’immensità del nostro ‘momento geologico’”. La nostra violenza passa quasi inosservata, perché si verifica lontano dai nostri occhi e in un lasso di tempo non così breve. Li stiamo uccidendo con la plastica – tutte le plastiche prodotte sono ancora in giro, in una forma o nell’altra, se non sono state incenerite –, di cui si cibano e con cui nutrono i propri pulcini, con il Ddt e altri agenti inquinanti che diminuiscono la fertilità e assottigliano le loro uova, con la pesca. Gli sforzi dei singoli individui scompaiono, finché non spariranno anche gli ultimi.

Sentirsi connessi

Leggendo la storia dei pinguini minori blu capiamo come quello di habitat sia un concetto molto più complesso di quanto possa sembrare, molto vicino, tutto sommato, a quello di “casa”, e non intercambiabile a piacimento. “In tutto il mondo, gli animali ritornano fedelmente in luoghi che non esistono più”. Addentrandoci negli sforzi per salvare le gru americane scopriamo come tutte le nostre cure e speranze comportino anche una dose non indifferente di violenza e coercizione nei confronti degli individui rimasti, e “vittime sacrificali” tra specie ritenute simili. Raccontare storie sul lutto dei corvi ci può far comprendere come, tutto sommato, non siamo poi una specie tanto eccezionale. Vederci come esterni, separati dalla natura, ci fa perdere la capacità di provare empatia e di concepire la sfera non umana in termini etici, oltre a non considerarci coinvolti nelle vite di chi sta scomparendo. A non sentirci in lutto per tutte queste sparizioni, ormai così comuni, che, in più modi, stiamo causando.

I corvi imparano molto in fretta dalla morte: “Le cornacchie americane evitano per almeno due anni i luoghi dove una di loro è deceduta, e a volte cambiano intere rotte pur di non volarci sopra”. Cosa facciamo, noi, di fronte a intere specie che se ne vanno? Per questo sono importanti queste storie: non per sopportare le perdite, ma per mostrarne l’importanza, sentirci a esse connesse. Per ricordare.

Si tratta di un libro profondo, complesso, con concetti davvero importanti, accostamenti non scontati, considerazioni filosofiche, una bibliografia quasi infinita. Ha, però, un difetto: in alcuni tratti risulta un po’ ripetitivo, in altri non di così agile lettura. Non è adatto, quindi, se si cerca qualcosa di leggero, ma se si è interessati al tema può offrire davvero molti spunti di riflessione.