laR+ La recensione

Clint Eastwood, vostro onore

In ‘Giurato numero 2’ le incertezze del protagonista sono anche quelle del regista, nel film che dovrebbe essere il sigillo finale sulla carriera

Nicolas Hoult è Justin Kemp
16 dicembre 2024
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In superficie ‘Giurato numero 2’ è un thriller giudiziario dalla trama inverosimile ma stuzzicante (un uomo viene sorteggiato come giurato nel processo per un omicidio di cui è il vero colpevole), un remake del ‘La parola ai giurati’ anabolizzato con pillole di Kafka e lucidato con un tocco di ‘The Night Of’.

Di fatto è una nuda meditazione morale di Clint Eastwood sui temi che da sempre lo interessano: individuo e società, colpa e redenzione, giustizia e perdono. Pare sarà l’ultima regia del leggendario novantaquattrenne, il che chiama un rapido bilancio dell’ultima parte della sua carriera, quella che potremmo pigramente definire autoriale e che in mancanza di date certe faremo aprire dal doppio grande successo di critica e pubblico di ‘Mystic River’ e ‘Million Dollar Baby’ tra il 2003 e il 2004. Un ventennio tondo, insomma, nel quale Eastwood ha commosso una nuova generazione di spettatori come ultimo alfiere di un classicismo hollywoodiano altrimenti perduto, austero nel linguaggio e archetipico nei temi come un racconto biblico. Peccato che come quasi tutti i fenomeni di nostalgia di massa, anche questo sia edificato sopra un anacronismo: Eastwood in realtà è in origine un prodotto del cinema degli anni Settanta, dai film con Sergio Leone a ‘Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo’, che il classicismo lo ha profanato, smantellato, rimontato al contrario.

L’esorcismo

Esempio più unico che raro di regista di destra venerato dalla critica da festival (tanto da quella âgée in pipa e baschetto quanto dalle nuove generazioni con l’eyeliner e il piercing al sopracciglio), con grandi successi come quello di ‘Gran Torino’ è spesso riuscito in un esorcismo affascinante: portare in superficie l’Es reazionario di molti ingombranti Ego progressisti. Una tendenza di cui è forte la tentazione di sorridere, ma che forse rivela qualcosa di profondo su come è cambiato il nostro rapporto con il cinema, quasi un ribaltamento completo rispetto agli anni della New Hollywood: oggi viviamo in una società più caotica dell’arte, e all’arte ci rivolgiamo non più perché scompagini l’ordine morale, ma perché in qualche modo lo ricomponga.

Questo si propone di fare anche ‘Giurato numero 2’. È un film sulla corruzione in cui non vi è un solo personaggio propriamente corrotto, in cui tutti – dal protagonista alla procuratrice distrettuale che conduce l’accusa, una Toni Collette straordinaria che a più riprese si prende il film sulle spalle – cercano di fare la cosa giusta, o comunque di conservare un briciolo di integrità dentro un sistema che lo rende impossibile.

Il protagonista Justin Kemp (un Nicolas Hoult che di recente non sbaglia un colpo) è un eroe moderno calato in un’arena da tragedia classica, un Odisseo che tenta di tornare a Itaca anche attraverso l’inganno, per il quale il valore della verità è subordinato agli altri o comunque negoziabile. È un protagonista interessante, che incarna allo stesso tempo valori civili ed empatici come lo scetticismo e la presunzione di innocenza e un desiderio di immunità personale che è inevitabilmente superomistico, e in questo è davvero una figura emblematica del nostro rapporto con il Politico.

Prospettive

I problemi del film sono essenzialmente due: Eastwood fa spesso un cinema individualista prima di tutto nella forma, nel quale cioè il protagonista è il solo personaggio completo e si muove in una casa degli specchi, il film, dove gli eventi del plot e gli altri personaggi servono a riflettere, amplificare o distorcere la sua psicologia, sono cioè figure talvolta memorabili che però basterebbe spostare la telecamera di pochi centimetri per rivelare come sagome a due dimensioni. In ‘Giurato numero 2’ questo errore di prospettiva si verifica un po’ troppo spesso, e l’economia narrativa si traduce in pura e semplice sciatteria di scrittura.

Infine, Eastwood non sembra del tutto sicuro di cosa con questo film voglia dire: ‘Giurato numero 2’ è un film sulla cecità di fronte al proprio destino, come sembra suggerire la prima immagine del film, o sul trionfo della volontà individuale sulla società? Le incertezze del protagonista e la sua repentina decisione finale sono un indice di complessità o di inerzia della scrittura del film? Non a caso ‘Giurato numero 2’ è un film molto godibile fino a 20 minuti dalla fine, quando dovrebbe finire e non ha il coraggio di farlo, e si trascina in un post-finale purgatoriale nel quale sembra volerci offrire la possibilità di dare una sbirciata a tutti i finali possibili senza sceglierne uno.

Se davvero insomma ‘Giurato numero 2’ è il sigillo finale sulla carriera da regista di Clint Eastwood, ci conferma che nei trattati morali raramente le conclusioni sono la parte più convincente.