In ‘Giurato numero 2’ le incertezze del protagonista sono anche quelle del regista, nel film che dovrebbe essere il sigillo finale sulla carriera
In superficie ‘Giurato numero 2’ è un thriller giudiziario dalla trama inverosimile ma stuzzicante (un uomo viene sorteggiato come giurato nel processo per un omicidio di cui è il vero colpevole), un remake del ‘La parola ai giurati’ anabolizzato con pillole di Kafka e lucidato con un tocco di ‘The Night Of’.
Di fatto è una nuda meditazione morale di Clint Eastwood sui temi che da sempre lo interessano: individuo e società, colpa e redenzione, giustizia e perdono. Pare sarà l’ultima regia del leggendario novantaquattrenne, il che chiama un rapido bilancio dell’ultima parte della sua carriera, quella che potremmo pigramente definire autoriale e che in mancanza di date certe faremo aprire dal doppio grande successo di critica e pubblico di ‘Mystic River’ e ‘Million Dollar Baby’ tra il 2003 e il 2004. Un ventennio tondo, insomma, nel quale Eastwood ha commosso una nuova generazione di spettatori come ultimo alfiere di un classicismo hollywoodiano altrimenti perduto, austero nel linguaggio e archetipico nei temi come un racconto biblico. Peccato che come quasi tutti i fenomeni di nostalgia di massa, anche questo sia edificato sopra un anacronismo: Eastwood in realtà è in origine un prodotto del cinema degli anni Settanta, dai film con Sergio Leone a ‘Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo’, che il classicismo lo ha profanato, smantellato, rimontato al contrario.
Esempio più unico che raro di regista di destra venerato dalla critica da festival (tanto da quella âgée in pipa e baschetto quanto dalle nuove generazioni con l’eyeliner e il piercing al sopracciglio), con grandi successi come quello di ‘Gran Torino’ è spesso riuscito in un esorcismo affascinante: portare in superficie l’Es reazionario di molti ingombranti Ego progressisti. Una tendenza di cui è forte la tentazione di sorridere, ma che forse rivela qualcosa di profondo su come è cambiato il nostro rapporto con il cinema, quasi un ribaltamento completo rispetto agli anni della New Hollywood: oggi viviamo in una società più caotica dell’arte, e all’arte ci rivolgiamo non più perché scompagini l’ordine morale, ma perché in qualche modo lo ricomponga.
Questo si propone di fare anche ‘Giurato numero 2’. È un film sulla corruzione in cui non vi è un solo personaggio propriamente corrotto, in cui tutti – dal protagonista alla procuratrice distrettuale che conduce l’accusa, una Toni Collette straordinaria che a più riprese si prende il film sulle spalle – cercano di fare la cosa giusta, o comunque di conservare un briciolo di integrità dentro un sistema che lo rende impossibile.
Il protagonista Justin Kemp (un Nicolas Hoult che di recente non sbaglia un colpo) è un eroe moderno calato in un’arena da tragedia classica, un Odisseo che tenta di tornare a Itaca anche attraverso l’inganno, per il quale il valore della verità è subordinato agli altri o comunque negoziabile. È un protagonista interessante, che incarna allo stesso tempo valori civili ed empatici come lo scetticismo e la presunzione di innocenza e un desiderio di immunità personale che è inevitabilmente superomistico, e in questo è davvero una figura emblematica del nostro rapporto con il Politico.
I problemi del film sono essenzialmente due: Eastwood fa spesso un cinema individualista prima di tutto nella forma, nel quale cioè il protagonista è il solo personaggio completo e si muove in una casa degli specchi, il film, dove gli eventi del plot e gli altri personaggi servono a riflettere, amplificare o distorcere la sua psicologia, sono cioè figure talvolta memorabili che però basterebbe spostare la telecamera di pochi centimetri per rivelare come sagome a due dimensioni. In ‘Giurato numero 2’ questo errore di prospettiva si verifica un po’ troppo spesso, e l’economia narrativa si traduce in pura e semplice sciatteria di scrittura.
Infine, Eastwood non sembra del tutto sicuro di cosa con questo film voglia dire: ‘Giurato numero 2’ è un film sulla cecità di fronte al proprio destino, come sembra suggerire la prima immagine del film, o sul trionfo della volontà individuale sulla società? Le incertezze del protagonista e la sua repentina decisione finale sono un indice di complessità o di inerzia della scrittura del film? Non a caso ‘Giurato numero 2’ è un film molto godibile fino a 20 minuti dalla fine, quando dovrebbe finire e non ha il coraggio di farlo, e si trascina in un post-finale purgatoriale nel quale sembra volerci offrire la possibilità di dare una sbirciata a tutti i finali possibili senza sceglierne uno.
Se davvero insomma ‘Giurato numero 2’ è il sigillo finale sulla carriera da regista di Clint Eastwood, ci conferma che nei trattati morali raramente le conclusioni sono la parte più convincente.