Il musicista americano, con il suo trio, ha aperto domenica la rassegna organizzata da Lac e Jazz in Bess
La Sala 1 del Lac è sorprendentemente gremita e si sente nei commenti meravigliati del pubblico durante le chiacchiere di pre-concerto. Una splendida vista sul lago fa da sfondo alla scena pronta per i musicisti ospiti di questo primo appuntamento di una promettente rassegna nata dalla collaborazione tra il Lac e la vivacissima associazione Jazz in Bess.
Intanto i musicisti prendono posto sul non-palco posto allo stesso livello del pubblico in una vicinanza tangibile: è una spettacolare babele di strumenti musicali e aggeggi assortiti che suonano benissimo, più il contrabbasso, con il suo solido amplificatore, e gli strumenti ad ancia in bella vista. Il leader, Chico Freeman, 75enne di Chicago, figlio e fratello d’arte, ha collaborato con figure di spicco come Art Blakey, Elvin Jones, McCoy Tyner, Wynton Marsalis, Bobby Hutcherson, Cecil McBee, Chaka Khan, Tomasz Stanko, Celia Cruz e Tito Puente (e meglio fermarsi qui altrimenti si fa notte). Il suo stile mescola, con valentia impeccabile, l’esplorazione del suono afro e le sperimentazioni ritmiche vicine al “battito animale”.
Accanto a lui, Heiri Känzig, svizzero-statunitense, contrabbassista dalla sonorità liquida che ricorda un po’ Eberhard Weber. Swing micidiale, cavata profonda e archetto da svenimento! Känzig ha collaborato con artisti come Rabih Abou-Khalil, Daniel Humair e Kenny Wheeler arricchendo il suo stile di influenze molto diverse tra loro. E, ancora, Reto Weber, virtuoso dell’hang – strumento che ha contribuito a perfezionare, oltre a essere líder máximo dell’udu e del djembe. Poi uno stack di piatti onnicomprensivo, un mini-drumset senza contare il surplus di aggeggi da smanacciare con competenza e inventiva. Anche Weber vanta collaborazioni con musicisti dal pedigree stellare, Glenn Ferris, Michel Godard e Max Roach tra gli altri. Insomma, un bel trio che unisce il drappo rossocrociato a quello a stelle e strisce, forgiando un jazz cosmopolita che intreccia il sax di Freeman ai ritmi world di Weber e alle linee puntuali e saltellanti di Känzig. E il pubblico è attento, ricettivo e caloroso: coerentissimi gli applausi che saranno resi a ogni solo, improvvisazione e unisono.
Va bene: è ora… è l’udu di Weber a dare il via a una ronda del piacere fatta di suoni, allacciamenti e sfilamenti, sorpassi in curva e ardimentose avanzate contromano (per favore, non facciamolo a casa né per strada!), che sfociano in uno stile essenziale e, in sé contraddicendosi – eppure funzionando, corposamente scarno. Freeman imbraccia sax soprano, sax tenore e clarinetto basso: sembra un tiratore scelto appostato sui tetti di Lugano. E centra tutto! Propositivo, traccia le sue vie grazie un lessico sterminato e cesellato da un botto di esperienze nei circoli alti del nirvana jazzistico. Weber si concede momenti di puro entertainment, divertendo pubblico e compagni di viaggio, argomentazione avanzata anche del leader che sa affabulare, raccontare aneddoti e storielle con naturalezza e grazia narrativa.
Particolare di non poco conto, l’hang di Weber dimostra quanto abbia contribuito allo sviluppo di questo strumento a percussione, che spopola nei rave e tra freak di varie correnti, ma ha ormai una sua collocazione anche all’interno della musica seria. Il suono del trio, nonostante lo spazio tutto vetri di questa sala del Lac, è incredibilmente definito e bello: ottimo lavoro del bravo tecnico del suono che pilota il mixer da remoto, via tablet. Eh, signora mia: non ci sono più i fonici di una volta, ora sono tutti smart!
Intanto la musica scorre e si spatascia sull’onda di un divertimento caotico, ancorato a una scansione ritmica rocciosa. E il pubblico incassa e apprezza gli unisoni, i duetti e i momenti in pura solitudine dove ogni musicista si confessa e racconta con le sue note, le sue pause e il suo proprio eloquio le note a margine delle rispettive esperienze. E, dopo tante peregrinazioni, il bis è d’obbligo: i tre non si fanno pregare nemmeno troppo tornando a regalare un ultimo, funambolico giro di giostra che atterra all’ora blu (se mai si vedesse in questa serata uggiosetta).
Se queste sono le premesse di una rassegna che ci accompagnerà fino a maggio, zigzagando tra il Lac e gli spazi di Jazz in Bess, ci sarà da divertirsi. Poco ma sicuro!