Tricia Tuttle, direttrice artistica da nemmeno un anno, ha fatto il suo. Forse l'anniversario chiamava dell'altro, ma le ‘distrazioni’ erano non poche
Doveva essere un evento luminoso questa Berlinale numero 75, da anni aspettata come una festa di compleanno del Cinema, con candeline a ricordarne la gloriosa storia iniziata il 6 giugno 1951, sei anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un segnale di rinascita della città distrutta dai bombardamenti e un segnale di festa per l’oltrecortina. Ma non era compito facile per una direttrice come Tricia Tuttle, chiamata a Berlino da nemmeno un anno, riuscire a guidare la manifestazione alla festa. Lei si è accontentata di svolgere un compitino: portare a termine il Festival senza preoccuparsi dell’anniversario. Di più: ha dovuto fare i conti con la dispersiva situazione delle sale, con la concorrenza delle elezioni federali (e a Berlino si parlava di quelle più che dei film) e soprattutto con l’ombra, sempre più inquietante nei festival maggiori, del Festival di Cannes, che ormai catalizza tutte le produzioni più importanti, forte anche di un potente mercato.
Anche il Festival di Berlino ha un mercato cinematografico, ma già dal suo nome – European Film Market (EFM) – mostra un indirizzo limitativo. Quest’anno poi mancavano i principali pacchetti di vendita e la presenza di acquirenti era ridotta, in particolare quelli provenienti dall'Asia. Molti habitué dell’EFM hanno partecipato solo dal venerdì alla domenica sera ed è sembrato un concentrato di due giorni e mezzo invece dei sette giorni ufficiali. È invece un retaggio del tempo del Covid, e si era notato anche lo scorso anno a Cannes, il fatto che aziende e agenzie cinematografiche optino per incontri privati oppure online piuttosto che pagare per gli stand tradizionali del mercato. Sono problemi su cui l’organizzazione del Festival deve riflettere.
Per quel che riguarda i film, si sta verificando un vero e proprio problema di linguaggio cinematografico: i film girati in digitale, quelli in pellicola 35 o 16 mm, quelli girati con il telefonino, e tutti i proiettati su grande schermo, mostrano la grande differenza che esiste tra le loro rese; se il cinema è luce, l’appiattimento luminoso del telefonino non dà vita a un nuovo linguaggio ma lo appiattisce. Al termine dell’interessante film ‘Vaghachipani’ (Tiger’s Pond) del regista indiano Natesh Hegde, durante l’incontro con il pubblico in sala un giovane spettatore gli ha chiesto di spiegargli la bella fotografia, i verdi e i rossi splendidi e significativi, le luci che raccontano le ore, il calore delle immagini: il regista ha sorriso, spiegando che avevano girato in 35 mm. Purtroppo, la gran parte dei film usa altri mezzi, più economici, preferendo fermarsi a raccontare con immagini in movimento male illuminate o prive di luci. Ma viviamo il tempo di TikTok e Instagram e… la nostra maniera di guardare è cambiata. Definitivamente?
Questa edizione della Berlinale ha avuto il merito di porre la domanda anche attraverso una nuova sezione chiamata ‘Perspectives’, che in fondo ruba spazio al Forum, ma che ha permesso un panorama di opere prime interessanti. Pensiamo ad ‘Al mosta'mera’ (The Settlement) dell’egiziano Mohamed Rashad, che con piglio neorealista ci porta nel mondo periferico di Alessandria d’Egitto tra stanchi lavoratori, malaffare e storie d’amore, e a ‘Kaj ti je deklica’ (Little Trouble Girls) della slovena Urška Djukić (ha ricevuto il premio Becce), che con una sensibilità sorprendente e un senso dei dettagli mozzafiato ci racconta una toccante storia di formazione, descrivendo con un tocco lirico e perspicace i problemi del corpo e dell'anima della sua giovane protagonista nel bel mezzo di un coro di ragazze cattoliche. Proprio dal Forum sono passati poi alcuni tra i film più importanti di questa Berlinale, pensiamo a ‘Holding Liat’ dello statunitense Brandon Kramer, che ci ha portato tra le famiglie degli ostaggi del 7 ottobre che hanno protestato contro Netanyahu, un documentario emozionante, o a ‘Bombam’ (Spring Night) di Kang Mi-ja, con la grande Han Ye-ri, ritratto sobrio e implacabile di una storia d'amore condannata tra due anime abbandonate alla deriva da un passato doloroso.
Naturalmente sparsi nelle varie sezioni – Competizione, Berlinale Special, Panorama, Generation – c’erano molti altri film per un Festival, quello di Berlino, che si avvicina a tutte le età e tutte le culture cinematografiche nonostante gli scioperi, la neve, le elezioni politiche, le poche luci. Come sempre, alla fine il Cinema ha vinto.