Sabato 10 maggio alle 20.30, Antonella Questa, Valentina Melis e Lisa Galantini portano sul palco di Chiasso il patriarcato verbale
Chi non si è mai sentita dire “stai zitta!”? In molti casi, non serve nemmeno dirlo: basta un’interruzione, un sospiro, un cambio d’argomento. A volte non rispondi. Non perché ti manchi qualcosa da dire, ma perché sei stata educata a valutare, prima del contenuto, il tono. Meglio non sembrare aggressiva, né – Dio non voglia – sicura di te. E così, mentre cerchi di non sbagliare grammatica sociale, il momento se n’è già andato.
Antonella Questa, Valentina Melis e Lisa Galantini, dirette da Marta Dalla Via, hanno fatto ciò che andava fatto: hanno portato il corpo e la voce proprio lì dove, fino a quel momento, si trovavano solo le note a piè di pagina del patriarcato. Lo spettacolo ‘Stai zitta!’, tratto dal libro di Michela Murgia, arriva il 10 maggio alle 20.30 al Cinema Teatro di Chiasso. E non potrebbe scegliere un momento più opportuno. Proprio mentre Chiassoletteraria, negli stessi giorni, si interroga su cosa significhi cercare un ‘Paese innocente’, lo spettacolo suggerisce che – a giudicare dai dati, dai titoli dei giornali e dalla lista di frasi contenute nel libro – forse, più che trovare un luogo, bisognerebbe cominciare a correggere la sintassi del potere.
Nel saggio, Murgia isola le frasi che ogni donna ha sentito almeno una volta – dal paternalismo mimetico alla mistica della vera femminilità – e che nello spettacolo diventano il punto di partenza per la costruzione di scene e cortocircuiti linguistici.
La drammaturgia, costruita come una partitura episodica, comincia con un incontro improbabile – ma non troppo: una riunione di Maschilisti Anonimi. «Abbiamo creato una storia che unisce tutte e tre le protagoniste», racconta Questa. «Ma da lì si evolvono tutta una serie di situazioni: come vengono veicolate le notizie sui femminicidi, come viene considerata la donna, la figura della madre, della politica».
Lo spettacolo è una forma di disobbedienza performativa, un esercizio di archeologia linguistica travestito da commedia. «Abbiamo scelto le frasi dal libro che ci risuonavano di più», racconta l’attrice, «e le abbiamo usate per costruire le nostre personagge» (sic). Nel suo caso: quella in cui le donne vengono sempre chiamate per nome, mai per cognome – una scelta linguistica che suona amichevole finché non si nota che agli uomini questo tipo di familiarità non tocca. Oppure l’“ancella del patriarcato”, una figura femminile convinta di detenere un potere che invece le è stato soltanto prestato – e può esserle tolto in qualsiasi momento. E poi c’è quella frase. Quella che dà il titolo al libro e allo spettacolo, pronunciata dallo psichiatra Morelli a Michela Murgia in diretta radio.
‘Stai zitta!’ è anche uno spettacolo che scardina lo stereotipo della rivalità femminile. «È una panzana», dice Questa senza mezzi termini. «Non è vero che le donne sono le peggiori nemiche delle donne. Ce lo fanno credere perché ci mettono a competere per i pochi posti disponibili. Ma quando ci organizziamo, quando facciamo rete, ci facciamo lavorare a vicenda. Piano piano ci riprendiamo lo spazio».
Il teatro, anziché semplificare la realtà complessa, accumula, ironizza, restituisce il rumore di fondo di una lingua che ci abita più di quanto noi abitiamo lei. «Non portiamo tutto il libro in scena, sarebbe impossibile e anche noioso, forse. Abbiamo lavorato con l’ironia come strumento per arrivare a chiunque», spiega. «Sia chi è avvezza o avvezzo a trattare questi temi, sia chi lo è meno. La risata permette di sollevare il giudizio su noi stessi e sulle altre persone».
Il pubblico risponde. Risponde bene. Dal debutto nel luglio 2023, lo spettacolo ha fatto registrare sold out quasi ovunque. «Prima ancora di iniziare la tournée, alcuni teatri erano già esauriti», dice, con una sorpresa che sembra ancora in corso. «Sembrava che il pubblico stesse dicendo: “Finalmente si può parlare di queste cose”. Le parole di Michela sono fondamentali ancora oggi, ne abbiamo bisogno ed è una gioia riascoltarle e condividerle tutte insieme all’interno di una sala teatrale». E, tra gli spettatori, anche uomini. Alcuni, a fine spettacolo, si avvicinano con aria costruttiva. «Molti ci hanno detto: “Mi rendo conto di avere una responsabilità nel linguaggio sessista che c’è oggi”. E io rispondo sempre: bene. Ma adesso sta a voi rompere l’omertà tra uomini».
Quando le chiedo se si sentano addosso una responsabilità pubblica nel portare avanti le parole di Michela, Questa non ha dubbi. «Sì, l’abbiamo sentita», risponde. «Purtroppo non ha mai visto lo spettacolo. Ci mandava messaggi, ascoltava i resoconti, ci sosteneva. Il mio rammarico più grande è di non essere riuscita a portarle lo spettacolo sotto casa, a Roma. Stavamo cercando di farlo, ma il tempo non ce l’ha permesso».
Keystone
Michela Murgia, 1972-2023