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Cannes apre tra venti di guerra e coraggioso cinema femminile

Tre documentari sull’Ucraina, la Palma alla carriera a Robert De Niro e il film d'apertura, ‘Partir un jour’ di Amélie Bonnin

I tre tenori (DiCaprio, Tarantino, De Niro)
(keystone)
14 maggio 2025
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Eravamo abituati alle solite inaugurazioni, con sfarzo e glamour capaci di eclissare l'oscurità dell'attualità. Ma l’apertura della 78ª edizione del Festival di Cannes si è consumata nel nome della violenta attualità e nel rinnegare la voce del nuovo Papa che urlava “Pace”.

Si è cominciato con un programma di tre documentari dedicati al dramma che si consuma in Ucraina. Non si è trattato solo di film – uno dedicato alla biografia di Volodymyr Zelensky e due alla guerra in corso – e alla presentazione di ‘Notre guerre’ di Bernard-Henri Lévy il palco è riempito di patrioti ucraini con le loro bandiere, sventolate anche da parte del pubblico, ed è comparso anche un gruppo di soldati con un generale, un'eroina e un eroe, naturalmente in divisa e appartenenti a un plotone speciale di combattimento. Questi hanno medagliato il regista per il suo incondizionato appoggio alla loro causa – Bernard-Henri Lévy nel film paragona il presidente ucraino a Winston Churchill – e il direttore del Festival Thierry Frémaux ha applaudito. Con quegli oltre quaranta minuti di canto alla guerra nella mente, abbiamo affrontato la serata inaugurale dove Cannes ha sfoderato un trio d’eccezione con Robert de Niro, premiato con una Palma d’Oro d’onore, Leonardo DiCaprio, che gli ha consegnato il premio, e Quentin Tarantino che, con una indimenticabile verve comica, ha ufficialmente dichiarato il Festival aperto, gettando il microfono a terra e scappando dietro le quinte.

La serata inaugurale ha toccato altri due temi caldi dell’attualità: il Presidente Trump e Gaza. Insieme sono state ricordate due importanti figure del Cinema. La prima è stata l’attrice Émilie Dequenne, scomparsa quest’anno. «L'arte resta, è la testimonianza potente delle nostre vite, dei nostri sogni. E noi spettatori, la abbracciamo» ha detto il bravo e intenso presentatore della serata Laurent Lafitte, che nonostante il suo aspetto da bel ragazzo baffuto ha preso molto sul serio il suo ruolo di maestro di cerimonie e ha voluto rendere omaggio alle attrici e agli attori che hanno il «coraggio» di parlare. E lui di coraggio ne ha avuto molto spiegando che: «Per un attore, prendere la parola è spesso un sacrificio, in un momento in cui il clima, l'equità, il femminismo, la comunità LGBTQIA+, i migranti, il razzismo non sono più solo argomenti di film, ma anche parole proibite dalla prima potenza mondiale. (...) Quando sei un multimiliardario superpotente, devi indossare la tua armatura supersonica per salvare il mondo invece di distruggere con una motosega i programmi mondiali destinati ai più deboli». Il secondo omaggio è stato a Lynch e, davanti a un pubblico commosso, Mylène Farmer ha interpretato sul palco un brano inedito in omaggio al suo amico morto lo scorso gennaio all'età di 78 anni. «Partout, partout, c'est fou, je te sens près de moi, partout, partout, dans tout, dans les méandres d'un long sommeil» (Ovunque, ovunque, è pazzesco, ti sento vicino a me, ovunque, ovunque, in tutto, nei meandri di un lungo sonno) ha cantato, accompagnata da un pianista.

Dopo l'ingresso dei membri della giuria nella sala del Grand Théâtre Lumière, la presidente Juliette Binoche ha voluto prendere la parola per rendere omaggio alla fotoreporter palestinese Fatima Hassouna, uccisa da un bombardamento israeliano a Gaza a metà aprile, dopo aver appreso il giorno prima che il suo documentario ‘Put Your Soul on Your Hand and Walk?’ sarebbe stato proiettato sulla Croisette. «Fatma avrebbe dovuto essere qui con noi stasera» ha detto, commossa, Juliette Binoche. «L'arte rimane. È la testimonianza potente delle nostre vite, dei nostri sogni» e il pubblico aveva le lacrime agli occhi. Poi ha aggiunto, citando la regista scomparsa: «Il proiettile del tiratore mi ha attraversato e sono diventata un angelo». Applausi e lacrime.

De Niro e il cinema democratico

«È una persona che per me e per un'intera generazione di attori è sempre stata un modello», ha dichiarato Leonardo DiCaprio sul palco del Grand Théâtre Lumière. E lui, Robert De Niro, ha ringraziato a modo suo: «Grazie a Cannes per aver creato questa casa per tutti coloro che amano il cinema. La prima e ultima volta che sono stato a Cannes è stato con Scorsese. Cannes è la mia casa, la mia comunità, è la celebrazione del nostro lavoro, dà energia ai nostri progetti. È stata Cannes a guidarci nella creazione del Festival di Tribeca. Aperto e democratico. Nel mio Paese stiamo lottando con tutte le nostre forze per difendere la democrazia, che pensavamo fosse acquisita. Democratico: ecco una parola che mi piace. Nel mio Paese stiamo lottando per salvare questa democrazia troppo spesso data per scontata. L'arte è inclusiva, include la diversità, ed è per questo che è una minaccia». Applausi, e forse a Trump saranno fischiate le orecchie, ma il Presidente sa che può contare su Mel Gibson e Sylvester Stallone, i suoi consiglieri per il cinema, un cinema che non vuole più coproduzioni con altri Paesi e vuole essere autoctono.

E il Festival francese come risposta ha presentato un film francese: ‘Partir un jour’ di Amélie Bonnin, un piccolo film nato da un premiato cortometraggio e forse bastava quello. L’averlo promosso a lungometraggio è stata un’operazione improba per la regista che non è stata in grado di rendere il tema più denso. Una donna, la quarantenne Cécile (la bravissima e sorprendente Juliette Armanet), scopre di essere incinta e non vuole tenere il bambino; dopo aver partecipato, e ottenuto il successo, a un concorso culinario televisivo, decide di aprire con il compagno un ristorante a Parigi. Subito la vicenda si sposta in provincia, dove Cécile deve correre per l’aggravarsi della salute del vecchio padre: i genitori gestiscono una trattoria per camionisti e Cécile vuole aiutarli per qualche giorno, ma il ritorno al piccolo paese è anche il ritorno con una vecchia fiamma, ora sposata con un figlio. Cécile si trova così al centro di una storia che fatica a controllare, con la felicità tanto cercata che tocca altri destini. La regista non riesce a dare corpo al suo racconto e le tante canzoni non regalano emozione ma la disperdono. Peccato, anche perché per la prima volta nella storia di Cannes, è un lungometraggio diretto da una donna ad aprire il Festival.