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A Cannes il cinema canta la giustizia, la morte e l'amore incondizionato

Abbiamo visto ‘Dossier 137’ di Dominik Moll, ‘Sirât’ di Oliver Laxe e, fuori concorso, ‘Qui brille au combat’ di Joséphine Japy

Dominik Moll e Lea Drucker
(keystone)
16 maggio 2025
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Ormai, al Festival di Cannes, non imperversa più la caccia a stelle e stelline, ma la ben più misera caccia ai biglietti che ogni mattina vengono messi a disposizione alle 7 e si esauriscono alle 7 e due minuti. Questa follia poco professionale la si scopre nelle facce contratte di centinaia di giornalisti delusi di essere qui e non avere i biglietti. Per ovviare a questo problema il Festival non ha trovato di meglio che le file d’attesa.

Mentre si attende di entrare in sala e si attende la pioggia, a centinaia ogni giorno passano i film, soprattutto al mercato dove ancora si discute sul piano Trump per il cinema e pochi sono convinti delle sue decisioni. Intanto in Concorso ecco due lavori interessanti: ‘Dossier 137’ di Dominik Moll e, soprattutto, ‘Sirât’ di Oliver Laxe.

Il primo è un noir poliziesco intriso di politica e attualità. Due anni dopo il successo de ‘La Nuit du 12’, vincitore di sei César, Moll torna a Cannes con questo buon film che segue le tracce di Stéphanie (un’intensa Léa Drucker), un'ispettrice dell'IGPN (Inspection générale de la police nationale) incaricata di indagare su un caso di violenza che coinvolge i suoi colleghi. L’ispettrice, con i suoi colleghi, è chiamata a chiarire le circostanze di un colpo di LBD (termine dell'amministrazione francese che designa un’arma subletale che utilizza un proiettile progettato per deformarsi o schiacciarsi all'impatto e limitare il rischio di penetrazione) che ha ferito gravemente un giovane durante una manifestazione dei Gilet Gialli. Oltre a cercare la verità sul comportamento della polizia, lei deve affrontare le pressioni gerarchiche che mettono in discussione le sue convinzioni più profonde. La vittima, che resterà segnata a vita, è un giovane che con la famiglia si era recato in corteo per poi lasciarlo per andare a visitare Parigi. A sparargli, un gruppo di poliziotti antisommossa in borghese. Il regista ci accompagna a conoscere Stéphanie per comprendere il suo impegno: divorziata, condivide il figlio con l’ex marito poliziotto che si è risposato con una collega che la odia, per spirito di corpo, per la sua azione. Grazie a un video amatoriale era riuscita a portare a processo i colpevoli, ma il governo interviene per liberarli, e lei si trova indagata. Come un riccio la polizia si era raccolta intorno ai colleghi: in fondo avevano fatto il loro dovere in nome della sicurezza che i cittadini invocano. Cinema civile ben girato e recitato.

Su altri temi ci porta ‘Sirât’ del regista franco-spagnolo Oliver Laxe, che qui a Cannes nel 2019 con ‘Viendra le feu’ aveva vinto il Premio della Giuria Un Certain Regard. In questo film straordinario, ricco di silenzi spesi tra deserti minati e le montagne dell'Atlante, il regista ci porta un’umanità, quella del nostro mondo, filtrata attraverso un’idea buñueliana dei corpi e delle estreme situazioni. Durante un rave sperduto nel cuore delle montagne del sud del Marocco, incontriamo un padre (il sempre bravo Sergi López) che con il figlio sta cercando la figlia maggiore, scomparsa da diversi mesi durante una di queste feste senza fine. La musica prende il potere e accompagna magiche immagini che confondono uomini e macchine in un road movie epico e tragico che si fissa nella memoria, come la morte che segna i destini dei protagonisti. Un film estremo, di rara bellezza formale e di grande prorompente pietà verso il nostro destino di viaggiatori su questo amaro pianeta. Il film è ispirato al ponte Sirāt, che, nella tradizione islamica, separa l'inferno dal paradiso.

Emoziona anche, fuori Concorso, ‘Qui brille au combat’ di Joséphine Japy, opera prima ispirata alla sua storia personale che racconta con rara sincerità e tenerezza la vita quotidiana di una famiglia che vive con una bambina affetta dalla sindrome di Phelan-McDermid, una rara malattia genetica. Nel film la bambina si chiama Bertilla e intorno a lei la sua famiglia vive in un fragile equilibrio nel dubbio che possa morire da un momento all'altro. Il suo destino mina i rapporti tra i genitori e spinge la sorella diciassettenne a cercare vie che la portino lontano. C’è tanto amore in tutti loro e c’è tanta fatica. E il film ci aiuta a comprendere, ci apre spazi di umanità faticosa da accettare, eppure divina nel suo essere. Film raro, questo, e prezioso. Un canto che si volge all’immensità per cantare la bellezza del nostro essere sempre diversi, altri, in cerca di essere accettati. Questo è Cinema.