laR+ Sulla Croisette

Film che si rincorrono senza sosta

Applausi per ‘Magalhães’ di Lav Diaz. Lo ‘Zsa-Zsa’ Trump di Wes Anderson è degno di rispetto. Il peso politico della guerra pesa sull'israeliano ‘Mama’

Al centro, Wes Anderson
(Keystone)
19 maggio 2025
|

La prima giornata della seconda settimana del Festival del Film di Cannes si è aperta con il lunghissimo e meritato applauso per ‘Magalhães’ (Magellano) del maestro filippino Lav Diaz, con un Gael García Bernal nella parte del grande navigatore, celebrato con calore da un pubblico molto giovane e attento. Sappiamo già che il film è approdato a Cannes come parte di un progetto che si rivedrà prossimamente o al Festival di Locarno o alla Mostra veneziana, di sicuro si sa che questa parte che dura quasi tre ore ha un seguito-completamento che dura sulle nove ore e va a indagare sulla moglie di Magellano: Beatriz Barbosa (qui recitata con grande grazia da Ângela Azevedo Ramos). Frutto di sette anni di ricerche, ‘Magalhães’ è un affresco di tre ore in cui la purezza formale (determinata da uno stile radicale e molto personale, dove lunghi piani fissi si sviluppano in silenzi abitati) è al servizio di una meditazione sul potere, la conquista e le illusioni del mito civilizzatore.

Su quest’ultima voce il film riassume quanto è successo nella grande invasione iberico-lusitana dell’America meridionale e delle nazioni del Pacifico, un mito civilizzatore che fa blocco con l’espansione della religione cattolica in quei territori di conquista. E una prima conseguenza è proprio la vicenda umana e storica del portoghese Ferdinando Magellano, la cui vita terrena, poi ammantata di gloria, si concluse nell’isola filippina di Mactan per quello che Lav Diaz presenta come un folle suicidio politico religioso: Magellano e i suoi volevano cristianizzare gli indigeni dell’isola, ma fecero l’errore di distruggere gli idoli locali, da cui la sanguinosa rivolta in cui morì anche il navigatore.

È di certo una figura di grande potenza e delirio umano quella che ci presenta il Magellano di Lav Diaz, un uomo affamato di comando e conquista, violento e crudele con i suoi marinai, capace di terribili vendette con chi lo tradiva. Si resta conquistati dalla bellezza del dire e del detto, si resta ad applaudire per celebrare la magia di un cinema che rifiuta ogni idea di commercialità, per inserirsi a colpo sicuro nel mondo della grande arte.

Un gioco intelligente

In concorso sono passati ‘The Phoenician Scheme’ di Wes Anderson, non amato da molti ma decisamente rispettato da noi, e ‘O Agente Secreto’ del brasiliano Kleber Mendonça Filho con l’attore regista Wagner Moura nel ruolo del protagonista Marcelo. Wes Anderson torna per la quarta volta in Concorso, e il suo film ha il merito dell’originalità e la qualità del fiabesco racconto, e quella di un finissimo e particolare uso del linguaggio cinematografico. Chiaramente lontano dal formalismo e dalla banalità del dire, il film riesce a ironizzare con fine sarcasmo sul magnate e politico Trump, adombrandolo nella iconica figura di ‘Zsa-Zsa’ Korda (un incredibile Benicio del Toro), uno degli uomini più ricchi d'Europa. Il suo essere odiato dalla politica corrotta e benpensante, il suo inventarsi ogni momento un gioco finanziario, un potere industriale, il suo chiudersi in una cerchia magica di familiari e amici: ecco lo ‘Zsa-Zsa’ Trump.

‘The Phoenician Scheme’ è un gioco intelligente, che richiama al sorriso piuttosto che al riso sguaiato, che richiede attenzione e non popcorn, che omaggia il cinema perché è Cinema. Certo ci sono momenti spassosi e altri meno, perché il regista ci tiene a dare una dimensione politica seppur ironicamente al suo dettato. E sono questi quelli in cui si impegna di più nel gioco cinematografico. Pochi applausi perché il grande pubblico non ama pensare molto. Una menzione particolare merita Mia Threapleton nella parte della figlia monaca di Zsa-Zsa, così si recita.

Diverso il destino di ‘O Agente Secreto’. Di sicuro il film di Kleber Mendonça Filho porta il peso dell’esagerata e non giustificata lunghezza. Wagner Moura come Marcelo, l’agente segreto del titolo, è troppo monotono, allo stesso modo, i caratteri più che sviluppati restano macchiette anche per l’assunto di un film che ci riporta nel 1977, in un Brasile tormentato dalla dittatura militare, con agenti di polizia dediti a far sparire oppositori del regime. Ci sono momenti di irresistibile commedia, ma lo humor nero ma non basta a salvare un film che non riesce a convincere.

Lagos, 1993

Molto meglio fuori concorso ‘My Father's Shadow’, opera prima di Akinola Davies Jr, un racconto semi-autobiografico ambientato in un solo giorno nella capitale nigeriana, Lagos, durante la crisi elettorale del 1993. Il film, ben raccontato, insinua le pagine della Storia nigeriana nell’atmosfera più intima dell’ultimo viaggio di un padre con i suoi due bambini. Il regista, nel raccontare la formazione di una memoria personale, non esita di affondare a piene mani nella poesia della vita. E sono applausi e qualche lacrima di commozione nascosta. Eravamo veramente in pochi a vedere ‘Mama’ dell’israeliana Or Sinai. Chiaramente, il peso politico di quanto succede a Gaza ha allontanato ingiustamente da un film che tocca, anche come denuncia, temi pesanti del nostro oggi. Inizia in una ricca abitazione ebraica a Haifa, dove scopriamo Mila (una bravissima Evgenia Dodina), governante della casa che fa all’amore con il giardiniere. Casualmente, Mila ha un incidente di lavoro per cui torna a casa in Polonia dopo molti anni. Scopre che il marito sta con un’altra donna; quest'ultima ha fatto le sue veci con la figlia che lei credeva all’università, e che invece ritrova incinta e pronta al matrimonio. Ma c'è di più: i soldi che aveva inviato alla famiglia erano stati spesi prima di terminare la nuova casa nella quale avrebbero dovuto vivere. Destino comune a tante badanti e a tanti che lavorano all’estero. Inoltre, essendo in Polonia deve risolvere il problema della figlia alle prese con una gravidanza difficile e destinata a non concludersi. Ma in Polonia c’è il carcere per l’aborto, anche terapeutico. Mettendo bene in rilievo i caratteri, il film ci regala la figura di una donna che non riceverà, pur nella sua grandezza, un premio. Di buon artigianato la regia.