Spettacoli

Ticino Musica Festival, ventinove anni e non sentirli

Presentato il programma della 29ª edizione: oltre settanta eventi dal 18 al 31 luglio

4 giugno 2025
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Il Festival Ticino Musica taglia il traguardo della sua ventinovesima edizione con oltre settanta eventi, in programma dal 18 al 31 luglio 2025, e una geografia concertistica che attraversa l’intero cantone. Ma è già tempo di pianificazioni cerimoniali: il trentesimo è dietro l’angolo, e – come tutti gli anniversari con cifra tonda – impone uno sguardo al futuro. È forse per questo che Gabor Meszaros, direttore artistico del Festival, ha già anticipato durante la conferenza stampa di quest’anno che lo celebreranno con «La Bohème in versione pocket».

Non solo un festival

Tutti e tre gli interlocutori – Meszaros, Katharina Jermini del Circolo Amici Ticino Musica e il vicesindaco di Lugano Roberto Badaracco – insistono: non è solo un festival. «È uno spazio vivo di confronto, un laboratorio creativo in cui la passione e il talento si intrecciano per dar vita a esperienze musicali indimenticabili», ha dichiarato Meszaros. Ma è anche, una grande macchina organizzativa che ogni anno riesce a far convivere musicisti in erba e grandi maestri, creando l’illusione condivisa che tutto sia possibile.
Per Roberto Badaracco, il Festival Ticino Musica ha il pregio di andare controcorrente. «È un periodo dell’anno in cui si fanno tanti open air, con musica più ritmata e che si balla, perché l’estate è fatta anche per questo. Però voi portate una musica importante, di livello». Il valore aggiunto è, secondo il vicesindaco di Lugano, sia culturale che turistico: i concerti attirano visitatori in villeggiatura e rafforzano l'immagine del Ticino come destinazione culturale.

L’ossatura del festival

L’Opera Studio internazionale “Silvio Varviso” inaugurerà il festival il 18 luglio all’Aula Magna del Conservatorio della Svizzera italiana con ‘Il Campanello’ di Donizetti, con giovani interpreti selezionati nelle audizioni di inizio anno. In parallelo, proseguono i concerti di presentazione dei giovani maestri, i vincitori di concorsi nazionali e internazionali (come il Trio Zeitgeist, Sào Soulez Larivière o Leonid Surkov), e le open class, occasioni aperte al pubblico per osservare l’interazione tra maestro e allievo nel momento dell’apprendimento.

La vera ossatura del festival è, infatti, l’Academy: oltre duecento giovani talenti da tutto il mondo, quindici masterclass guidate da nomi come Roberto Plano, Ivan Podyomov, Danilo Rossi, e altri. Per Meszaros, è qui che avviene il vero passaggio di testimone: «I grandi maestri sono il motore della manifestazione. Quello che succede qui tra i Maestri e i giovani non lo si impara in nessun conservatorio. È un legame che nasce in pochi giorni, ma resta per sempre».

Lo scambio si estende anche agli Ensemble in residence. Il Quartetto Rilke si esibirà tra il Ticino e Wassen, dove il 31 luglio condividerà il palco con il Duo Räss-Gabriel, nella Chiesa di San Gallo, per un concerto realizzato in collaborazione con il festival Alpentöne. È un gesto simbolico e geografico, che Meszaros ha sottolineato leggendo le parole del direttore artistico di Alpentöne: «Nonostante i numerosi fori, il San Gottardo è una formidabile barriera visiva e sonora nelle due direzioni. Superarla è di importanza nazionale. Il 2025 è l’anno della costruzione di ponti musicali».

Piccole rivoluzioni

Il pre-festival, con eventi mensili da gennaio in poi, è ormai una macchina ben oliata. L’esperimento di Yoga per musicisti e non solo, invece, è fresco di stagione: una misura necessaria per chi tiene il proprio strumento in braccio come un soldato sull’attenti per ore, e che si estende al pubblico. «Vedete questi musicisti che entusiasmano sul palco, ma non vedete quando scendono e dicono: ‘Mi fa male la schiena’», ha confessato Meszaros. Altra novità: la collaborazione con il Museo Hermann Hesse: giardini musicali e una notte bianca a Montagnola, dove piccoli gruppi di musicisti suoneranno brani brevi mentre il pubblico visita la mostra.

Il peso della tradizione

L’idea di base è la stessa degli inizi quando, come ricorda il direttore creativo, era un remare controcorrente ma questa lotta per realizzarlo è diventata una marcia. C’è una fede incrollabile nella cultura come costruzione, come mestiere, come disciplina quotidiana.

Lo si intuisce ascoltando Luigi Frasa, che racconta come l’evento, partito da Assisi e poi passato dal Lago di Garda, sia stato infine trapiantato in Ticino «perché in Italia non funzionava». All’epoca era titubante. «‘Guardate che io non ho tempo’, ho risposto quando mi hanno proposto di occuparmene. Però ci ho riflettuto una notte e ho trovato tre collaboratori disposti ad aiutarmi. L’ho fatto, e mi sono appassionato». È una narrazione da dopoguerra musicale, con dentro tutto: la logistica, l’improvvisazione, la filigrana affettiva. E sotto, quasi inavvertita, la struttura profonda del festival: passaggi generazionali, conflitti produttivi, e un’etica da regia di quartiere, dove nessuno è davvero di passaggio.

Nonostante le difficoltà crescenti nel trovare sponsor – «una volta ti venivano a cercare per sponsorizzare, oggi devi andarci in ginocchio» – il festival riesce ancora a fare rete.

Sotto la superficie rassicurante della musica classica, c’è un fermento instancabile, una tensione verso l’apertura, il dialogo, l’invenzione.
A ben vedere, questo festival – approdato in Ticino come un figlio espatriato in cerca di metodo – sembra ancora oggi in viaggio. Solo che adesso, mentre si avvicina al suo trentesimo compleanno, il movimento ha assunto i contorni di una permanenza.