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‘The Studio’, una lettera scema (ma sincera). Lettera d’amore al cinema di Hollywood

Seth Rogen dirige una serie tv che o vi piacerà da morire, o non vi piacerà per niente

Seth Rogen
(Apple TV)
7 giugno 2025
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‘The Studio’ è una serie scema con un cuore d’oro, più o meno come tutte le cose prodotte o dirette da Seth Rogen (da attore ha fatto anche qualcosa di non scemo) più o meno come Seth Rogen stesso. Per “scema” intendo: quella in cui la trama degli ultimi due episodi (siamo ancora alla prima stagione, da poco disponibile nella sua interezza su Apple Tv) gira intorno al fatto che tutti i personaggi hanno per errore assunto una dose eccessiva di funghi allucinogeni. Due ore di equivoci grotteschi, citazioni di film altrettanto scemi – ‘Weekend con il morto’, ovviamente la saga di ‘Una notte da leoni’. Per “cuore d’oro” invece mi riferisco all’happy ending sentimentale che è, come tutta la serie, una lettera d’amore al cinema stesso. Anche qui però non vi aspettate sofisticatezza: finisce letteralmente con il cast che grida “Movies! Movies! Movies!”. Dettaglio forse più interessante di come l’ho messo giù qui, che vale la pena approfondire un minimo.

Il discorso finale

Il protagonista della serie si chiama Matt Remick ed è un cinefilo quarantenne diventato improvvisamente capo di uno studio hollywoodiano interpretato, indovinate un po’, da Seth Rogen. Lo studio sta per essere acquistato da Amazon e Matt, come il resto del suo staff, potrebbe perdere il proprio lavoro. Tutto si gioca al momento della presentazione dei film della nuova stagione durante la convention CinemaCon: se va bene quella, diventa difficile svendere lo studio. Solo che Matt è talmente scemo che ha sbagliato la dose di funghi allucinogeni che ha messo nella torta al cioccolato, servita nella sua suite la sera prima, e il Ceo dello studio Griffin Mill è ridotto talmente male che non riesce a pronunciare il suo discorso finale. Dovrebbe dire che i film sono ciò che ci tiene uniti, ma riesce a dire solo la prima parola: “movies”. Matt, che è scemo e come tutti gli scemi nelle commedie è anche un po’ geniale, trasforma quella parola ripetuta a pappagallo in un coro tipo “Usa! Usa! Usa!”. Tutta la cifra di ‘The Studio’ e, mi pare, della comicità di Seth Rogen sta nell’incapacità di articolare a dovere il loro messaggio, finendo col darci sempre qualcosa di troppo semplice e diretto, sentimentale e pure un po’, come dire… scemo.

Detto questo: o ‘The Studio’ vi piacerà da morire, o non vi piacerà per niente. A me, sinceramente, è piaciuta. Anche se avrei preferito ‘bingiarla’ e non penso sia il tipo di serie che guadagna alcunché da una strategia che preveda di far uscire un episodio alla volta settimanalmente, come ai tempi della golden age delle serie tv, devo confessare di aver aspettato il giorno dell’uscita con una certa trepidazione. Senza suspense, senza una vera e propria trama – a esclusione di questi ultimi due episodi – penso di essere stato contagiato dal ritmo della serie. A cominciare dalla musica jazz che accompagna le scene in cui c’è azione, composto dal batterista messicano Antonio Sánchez che aveva composto anche le musiche di ‘Birdman’ che infatti ha un ritmo molto simile.

Comicità a piccole dosi

Nessun personaggio va oltre l’abbozzo caricaturale di difetti tipicamente contemporanei, nessun episodio costruisce trame davvero sorprendenti, eppure ‘The Studio’ ha una presenza originale all’interno del panorama televisivo attuale. Tanto per cominciare parla, anche se indirettamente, di Hollywood, rifacendosi a capolavori del secolo scorso che sarebbe blasfemo nominare ma con cui in qualche modo condivide un’atmosfera decadente e nostalgica. Le battute e le gag slapstick – come ad esempio: un burrito che Quinn, giovane producer, vuole lanciare contro Sal Saperstein, vecchia volpe con cui è in guerra, che finisce in faccia a un tizio che guida una macchina da golf e finisce contro una scenografia gigante e presumibilmente costosissima – non vanno mai oltre la simpatia, il sorriso appena appena accennato, eppure non c’è niente di veramente offensivo per la nostra intelligenza. ‘The Studio’ sta alla vera comicità come la droga leggera sta a quella pesante, non a caso Seth Rogen ha un suo brand di erba e accessori per fumare erba.

A elevare il tutto un cast a dir poco eccezionale. Quando nella prima puntata a un certo punto arriva Martin Scorsese ho pensato per un attimo che fosse un sosia. E invece era proprio Martin Scorsese, nei panni di sé stesso, che scoppia a piangere quando capisce che Matt ha comprato i diritti del suo ultimo film solo per tenerlo fermo e non farglielo girare – sempre senza farlo apposta, perché Seth Rogen non scrive personaggi veramente cattivi, semmai inetti, criminalmente scemi. Ma ci sono anche Bryan Cranston (scusate: Walter White), Zoe Kravitz e il minore dei fratelli Franco, Dave. La giovane producer è interpretata dall’ottima Chase Sui Wonders, mentre gli altri personaggi secondari da espertissimi caratteristi (Ike Barinholtz, Kathryn Hahn, Catherine O’Hara). Hanno tutti il loro momento luminoso, se non proprio una puntata a disposizione per far brillare il proprio talento, con trame sempre facili chiuse però da finali soddisfacenti.

Nell’episodio chiamato ‘Casting’ (quello che mi ha divertito meno) sono alle prese con l’astratto problema della “diversity” all’interno di un film di animazione, passano da un film senza nessuna minoranza etnica né coppie non-binarie a un assemblaggio ridicolo e contorto che dovrebbe tenere a bada il pubblico, che però alla fine trova comunque qualcosa per cui seppellire Matt sotto a un cumulo di fischi. Nell’episodio ‘The Note’ (uno di quelli che mi hanno divertito di più) il narcisismo di Matt si scontra con quello di Ron Howard che, molti anni prima, lo aveva detto deriso per un consiglio ridicolo che aveva dato durante una riunione. Matt dovrebbe chiedergli di tagliare un pezzo del suo ultimo film, è quello che prevede il suo ruolo di presidente dello studio, e tutti intorno a lui concordano nel pensare che senza quel taglio il film sarebbe un disastro, Matt però pensa che Ron Howard non si ricordi di lui e non vuole perdere la sua stima. Alla fine, ovviamente, Matt si ritrova ancora una volta umiliato davanti a tutti da un crudele Ron Howard.

‘The Studio’ non ha potenzialità troppo di lungo respiro ma può costruire, in puntate che vanno dai venti ai quaranta minuti, piccole storie leggere e autoironiche, con attori di livello e ospiti eccezionali che, francamente, fanno sembrare persino Seth Rogen un po’ meno scemo di quello che è.