Scopriamo i lavori dei tre giovani Mariasole Brusa, Jacopo Giacomoni e Athos Mion selezionati per la prima edizione diretta da Willem Dafoe
Stare a Venezia è un po’ come vivere in una sorta di film. C’è sempre questa impressione mentre si passeggia per le calli, si attraversano ponti, ci si perde per sottoporteghi, soprattutto la notte. A sottolineare questa piacevole sensazione di straniamento, pozzanghere, rintocchi, passi affrettati, messaggi sussurrati e Willem Dafoe che scompare e ricompare nel buio. Va a casa dopo che se li è guardati tutti, gli spettacoli, in prima fila con l’occhio fermo, il sorriso affilato, e quell’espressione che credevamo esistesse solo sullo schermo e invece no, guarda un po’. Certo, direte, a Venezia c’è la Biennale Cinema, nulla di nuovo. E invece c’è anche questa, quella di Teatro, che si apre e si svela, si richiude e poi sorprende, guarda avanti e poi indietro, per momenti, eventi, happening, letture. Senza clamore, senza nessun faro puntato addosso, silenziosa come un sipario che si apre, concentrata come l’orecchio teso dello spettatore in penultima fila, viva come il battito dell’attore che sta per uscire dalle quinte.
Willem Dafoe ne è nuovo direttore artistico, dopo gli anni del sodalizio Ricci/Forte e prima ancora di Antonio Latella, per citare l’ultimo decennio. Siamo alla 53ª edizione e sembra di essere tornati alla radice del tempo, perché l’idea portante di quest’anno è la centralità e poeticità del corpo sulla scena. Ce n’eravamo dimenticati? Forse un po’ sì. Ha voluto tornarci proprio Dafoe che ricordiamolo è comunque parte dell’avanguardia americana degli anni Settanta (Wooster Group), formatosi nel solco della tradizione di Mejerchol’d e delle esperienze di Grotowski. E infatti riporta tutta quella storia lì a Venezia, invitando Eugenio Barba dell’Odin Teatret, Richard Schechner che, nel solco della trasmissione, offrono anche laboratori e lectio magistrali; conferendo il Leone d’Oro a Elizabeth LeCompte, volto (ma soprattutto mente e corpo) del teatro di quell’avanguardia statunitense anni Settanta in cui è cresciuto Dafoe.
Ma torna alla centralità del corpo anche attraverso i lavori clownistici di Gardi Hutter (tra le diverse proposte svizzere di quest’anno, pensiamo al Leone d’Argento a Ursina Lardi, poi allo spettacolo suo con Milo Rau) e la fisicità della Societas di Castellucci (ne parleremo nei prossimi giorni). Non cito tutto il programma, ma va percorso anche a mo’ di pedagogia per una certa storia del teatro che non va dimenticata, e alle realtà attuali imprescindibili come Ostermeier e Bob Holman, ma sottolineo l’importanza della Storia con il focus che questa edizione ha voluto dare a quella del 1975, diretta da Luca Ronconi, in cui confluirono tanti grandi maestri di ieri e di oggi.
Caratteristica della Biennale Teatro, grazie anche alla lungimirante vocazione pedagogica di Antonio Latella dal 2017, sono i College nelle varie discipline teatrali: drammaturgia, regia, recitazione, programmazione, danza, critica… Una palestra per i giovani, un trampolino di lancio per registi e drammaturghi, soprattutto, che da lì iniziano a muoversi ovunque. Qualche esempio? Leonardo Lidi, Fabio Condemi, Liv Ferrachiati, Martina Badiluzzi e Caroline Baglioni, nomi che ora siamo abituati a sentire nel mondo della regia e drammaturgia contemporanea.
Ogni anno, un bando e una selezione di lavori sulla base di piccoli estratti. Questi hanno poi diversi mesi e un tutoraggio costante per crescere ed esser presentati all’edizione successiva. I tre lavori proposti in questa edizione sono ‘Golem_e fango è il mondo’ di Mariasole Brusa, che ne cura anche la regia, e le mise en lectures di Jacopo Giacomoni ‘Tacet’ e di Athos Mion ‘Orge per George’. Tre lavori completamente diversi. Il primo, ‘Golem’, è uno spettacolo molto coinvolgente nel quale la regista, drammaturga e marionettista Mariasole Brusa mette in scena la sua abilità artistica nel teatro di figura, partendo dalla tragedia che ha visto l’Emilia Romagna inondata nel 2023 e innescandola con il mito ebraico del Golem. Mito e storia, materia e maschere, ‘Golem’ (Vincitore di Biennale College Regia) narra di distruzioni climatiche improvvise viste con gli occhi dei bambini, e di fango che tra le mani diventa argilla e si fa modellare, come a dire che dalle macerie di una tragedia si può costruire qualcosa di nuovo. Le marionette giganti, i pupazzi che comunicano, sono abilmente mossi e sostenuti da attori incappucciati in mantelline nere e stivaloni, come tutti i ragazzi che hanno aiutato la regione a ricostruirsi. La musica avvolge come la notte, l’onda sale come un mostro, il golem diventa anche simbolo della storia attuale.
Giacomoni (già menzionato nella sezione Franco Quadri del concorso Riccione Teatro 2023) invece vince il College Drammaturgia con uno spettacolo che parla del silenzio. Curioso ossimoro messo in scena attraverso una precisa partitura in quattro macro movimenti che scandagliano il silenzio come attimo, fenomeno storico, fisico, assente e presente, percepito o osservato. Punti di forza, riuscire a rappresentare il silenzio, il continuo riferimento al mondo della musica (in un tema così non si può prescindere per esempio dall’esperienza di John Cage) grazie anche al percorso di sassofonista dell’autore (e attore) del testo, la curiosa storia delle linee che rappresentano i sei secondi tra guerra e pace alla fine del primo conflitto mondiale, il museo del silenzio. Punti deboli, forse in uno spettacolo già così molto complesso, le informazioni, le intuizioni e gli approfondimenti che erano un po’ in eccedenza, e seppur organizzati in un discorso, questo a volte si perdeva in linee orizzontali e verticali, i linguaggi che si sovrastavano mitigando la propria potenza.
Ma il coup de coeur di queste proposte è stata la terza, dall’evocativo titolo che dice esattamente quello a cui assisteremo, un’orgia per George. Athos Mion, giovane regista e drammaturgo, scrive incredibilmente bene. Nel suo spettacolo – vincitore anche lui per la sezione drammaturgia – racconta la discesa negli inferi delle perversioni di un ragazzo (nelle orge si perde l’identità) che invitato da colui che crede il suo amore vive questa esperienza in maniera iniziatica. Incontri, scoperte, e tantissimi personaggi raccontano un mondo di relazioni umane votate alla violenza, all’ipocrisia, alla costrizione, all’esposizione. Relazioni che non sono veramente relazioni, ma spesso scontri o lotte, o dimostrazioni di potere. Un mondo che ha il solo difetto di essere molto più esplicito di quello reale che tutti conosciamo, ma in quanto a violenza, perversione e freddezza è esattamente come tutto accade qua fuori. L’idea di Mion era quella di provare a raccontare una narrazione altra in questo testo che ci ha messo anni a vedere la luce. La regia di questa mise en lecture è stata affidata ad Arturo Cirillo, direttore della Scuola per Attori del Teatro di Napoli che in scena ha messo 14 ragazzi del primo anno. Il risultato è come un grande ‘Risveglio di primavera’ che con estrema ironia e vitalità porta in un universo altro gli spettatori mettendoli di fronte a loro stessi.