L’opera di Giuseppe Verdi in scena a Firenze con Zubin Mehta sul podio e la regia di Damiano Michieletto
Preceduta da un accorato appello alla pace con dedica a tutte le vittime delle guerre in corso, è andata in scena la terza e ultima opera in programma all’87° Maggio Musicale Fiorentino, quella ‘Aida’ prodotta dalla Bayerische Staatsoper di Monaco nel maggio 2023, con la regia di Damiano Michieletto, che è sempre garanzia di come la vicenda narrata risuoni nella contemporaneità. E così è stato anche questa volta in un momento in cui si moltiplicano gli spettacoli di denuncia e di rifiuto delle guerre, a volte anche forzando la trama pur di inserirvi il messaggio pacifista. Ma non è proprio il caso di ‘Aida’, l’opera che Giuseppe Verdi scrisse per il Teatro dell’Opera del Cairo, dove andò in scena con enorme successo nel 1871. Non c’è stata alcuna forzatura perché la vicenda narrata è una vicenda di guerra, ambientata in quello che oggi chiamiamo Medio Oriente, ovvero in Egitto, guerra infinita tra due popoli, gli Egizi e gli Etiopi. E dentro questa sequela di guerre è incastonata la storia d’amore tra la schiava Aida (principessa in incognito, figlia del re degli Etiopi Amonasro) e il giovane comandante dell’esercito egizio, Radames, amato anche dalla principessa Amneris, figlia del Faraone.
Tra vittorie egizie e tentativi etiopi di riscatto e vendetta, si snoda la storia dei due amanti, Aida contesa fra l’amore per Radames e la fedeltà alla patria attraverso il padre che le chiede di usare la sua ascendenza sul comandante per ottenere informazioni segrete, e Radames travolto dall’accusa di tradimento a causa della denuncia della gelosissima Amneris che ha scoperto il loro amore segreto. I due amanti moriranno insieme, sepolti vivi nei sotterranei di un tempio.
Una piccola storia d’amore nella cornice della grande storia, o viceversa? È quello che Michieletto si chiede nell’affrontare la regia di un’opera che ha un passato di allestimenti monumentali, con sfilate di elefanti e cammelli, ma che in tempi recenti ha stimolato una visione più intima e cameristica, volta a sottolineare la vicenda privata. Il sipario si apre su una palestra aspramente bombardata, il soffitto è bucato in più punti e dai buchi scende una polvere grigia. Quello che è stato un tempo luogo di svago per famiglie con bambini, è diventato rifugio e mensa, ma qua e là sopravvivono elementi che ne ricordano il passato lieto e quando possibile i bambini tornano a giocare. È qui che la schiava Aida rivive il suo passato di bambina felice con i genitori accanto, è qui che Aida e Radames si scambiano la promessa di un impossibile amore, è qui che si riunisce l’esercito del Faraone, in uniformi del Novecento, a prepararsi per la guerra e invocare l’aiuto degli dei.
Nella prima parte dello spettacolo prevale la dimensione corale e collettiva, con il ripetersi di parole come guerra, sterminio, terrore, morte al nemico. Ma è nella celebre marcia trionfale che il regista evidenzia la realtà della guerra, attraverso una sfilata di mutilati e invalidi, soldati che in battaglia hanno perso gambe o braccia e che ora sfilano sul tappeto rosso per essere decorati con medaglie al valore. Ciò che hanno fatto e subito segna indelebilmente le loro vite, ferite che non si rimargineranno più, come mostra il film realizzato da Michieletto sulle note del ballabile, che indica il divario tra la folla acclamante e la memoria del conflitto nei reduci. È questa prima parte la più riuscita dell’intero spettacolo.
Nella seconda parte la polvere grigia delle ceneri dei morti è diventata una piramide che accoglie Aida e i suoi ricordi d’infanzia. I flashback la inseguono fino alla scena finale in cui tutta la sua famiglia – padre e madre morti – prende corpo in una sorta di sogno di un passato felice, che apre ai due amanti la strada dell’aldilà, non nel buio di un sotterraneo, ma vicino al cielo, perché il regista, insieme al fedele scenografo Paolo Fantin, divide la scena in due piani, di sopra Aida e Radames, di sotto la pentita Amneris, cui spetta l’ultima invocazione. Ed è la parola pace a risuonare tre volte sulle sue labbra, forse il messaggio finale dell’opera.
Nei panni di Aida c’è la russa Olga Maslova, voce incantatrice, densa di lirismo, tenera ed espressiva, mentre Radames è il coreano Seok Jong Baek, tenore lirico spinto di grande raffinatezza tecnica, e Amneris è Daniela Barcellona, che dà voce frastagliata e robusta al tormentato personaggio della principessa innamorata e respinta.
Il re della serata è l’ottantanovenne Zubin Mehta, sul podio a dirigere l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino – direttore e orchestra saranno in concerto al Lac nel febbraio 2026, prima volta in oltre quarant’anni – amatissimo dal pubblico, che ha diretto ‘Aida’ molte volte nella sua lunga carriera e che in questa prima serata l’ha proposta nella sua incandescente essenzialità, senza sottolineature spettacolari ma con uno sguardo attento al fluire ininterrotto della musica che fa di ‘Aida’ quasi un ponte fra Verdi e Wagner.
Indimenticabile il coro del Maggio preparato dal maestro Lorenzo Fratini, con il suo potentissimo ‘guerra, guerra’ del primo atto. Tutti festeggiati insieme al direttore, mentre per Michieletto pubblico diviso tra gli applausi degli innovatori e i buu dei conservatori.
‘Aida’ sarà in scena a Firenze fino al 1° luglio.