Sincopato, ammaliante, caustico ma lirico fu ‘28 giorni dopo’. Semplicemente imperdibile quello nelle sale in questi giorni
Nel 2002 Danny Boyle, con il fido sceneggiatore Alex Garland, resuscitava il genere zombie (ah ah) – oltre che la propria carriera dopo il fiasco di ‘The Beach’ – con ‘28 giorni dopo’. Controcanto infernale ai jingle pubblicitari della società dei consumi dal ’68 in poi, il rantolo dei morti viventi aveva perso rilevanza culturale col riflusso nel privato degli anni Ottanta e col trionfo della terza via nei primi anni Novanta. Non a caso lo sforzo per riaprire le porte dell’oltretomba cinematografico, a inizio millennio, venne da giovani cineasti arrabbiati cresciuti nella “cool Britannia” blairiana, con la sua cappa di glamour post-ideologico e le sue trasparenze luccicanti – dai ritornelli appiccicosi delle Spice Girls all’arte masticabile di Damien Hirst e Banksy.
‘L’alba dei morti dementi’ di Edgar Wright inscenava le risposte generazionali dell’ironia e della depressione al collasso del patto sociale, ‘28 giorni dopo’, nel primo stile elettrico e fracassone di Boyle, dava invece una bella scossa tanto al genere quanto alla metafora. Cillian Murphy, dimenticato in un letto d’ospedale, si risvegliava alle prese con zombie che, violando il primo e più importante comandamento della bibbia romeriana, correvano come cavie sotto anfetamine. Il messaggio era evidente: il consumismo non è più soltanto un sedativo di massa, ma una forza aggressiva e famelica che prima isola e poi divora chi prova a sottrarsi.
Il film era sincopato, ammaliante, caustico ma lirico, e nella seconda parte introduceva un tema di conflitto tra i generi, con un epilogo sanguinoso del conflitto tra natura e cultura, tra mascolino e femminino. Fu un successo travolgente, e da lì riparte oggi (tralasciando gli eventi del primo e più che discreto sequel) questo ‘28 anni dopo’. Boyle e Alex Garland (che nel frattempo è diventato a sua volta un regista di prima grandezza, reduce dallo splendido ‘Civil War’) tornano nella Gran Bretagna devastata dal virus, stavolta in una comunità di superstiti nelle Highlands scozzesi, quasi 30 anni dopo. Il protagonista dodicenne Spike, l’impressionante esordiente Alfie Williams, sta per essere condotto dal padre (Aaron Taylor-Johnson) in una prima escursione iniziatica sulla pericolosissima terraferma, mentre la madre (Jodie Comer) langue a letto in preda a un misterioso morbo che le consuma il corpo e la mente.
Vano riassumere qui la trama di ‘28 anni dopo’, un film che ha la complessità e l’eleganza di una cattedrale. A Boyle e Garland non interessa più nulla della dimensione materiale del survival, ma solo di quella spirituale. ‘28 anni dopo’ è un film avvincente eppure tutto simbolico, il viaggio di Spike diventa una sorta di ‘Cuore di tenebra’ al contrario, dove al fondo dell’orrore non ci sono la morte e la follia di Kurtz, ma la speranza e la salvezza forse incarnate dal misterioso dottor Kerson (Ralph Fiennes). Con un utilizzo godardiano e riuscitissimo delle immagini di repertorio, ‘28 anni dopo’ è un film di viaggi nel tempo e un film psicanalitico, nel quale passato (gli infetti che somigliano sempre di più a uomini primitivi), presente (la spartana comunità di reduci in cui Spike è nato e cresciuto) e futuro (un naufrago svedese che viene da una civiltà paragonabile alla nostra, con tanto di smartphone che “presto sarà un mattone”) dell’umanità coesistono, si contaminano come nell’inconscio freudiano, si parlano attraverso archetipi invece junghiani: l’Eroe, la Madre, il Padre, il Saggio. Ne consegue un monito attualissimo, sul pericolo del fallimento della nostra intera cultura – dalla religione al cinema stesso, dalla mitologia alla techné fallica delle armi, qui complessivamente incarnati nella figura del Padre – che invece di cercare la verità la rifugge (“Papà mente! Mentono tutti!” grida Spike prima di abbandonare la comunità) e che rifiutando la verità fondamentale della morte non riesce più a vivere e ad amare, e per questo rischia di estinguersi. Questo rende così paradossale e toccante il viaggio di Spike: perfino dopo l’apocalisse, un giovane uomo deve disfarsi di una cultura che mistifica la propria paura per coraggio per potersi avvicinare alla verità e all’amore.
Primo capitolo di una nuova annunciata trilogia, ‘28 anni dopo’ porta il franchise a un altro livello, ed è uno dei film inglesi più importanti degli ultimi anni. Imperdibile.