West Side Story, capolavoro di Bernstein, alle Terme di Caracalla nel nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma con la regia di Damiano Michieletto
Allestire uno spettacolo alle Terme di Caracalla significa innanzitutto confrontarsi con uno scenario naturale imprescindibile e impositivo, quello delle rovine grandiose di un impero. Forse è stato proprio questo elemento a fornire al regista Damiano Michieletto (che a Caracalla ha già diretto ‘Mass’ di Bernstein nel 2022 e che oggi si presenta anche come direttore artistico della stagione estiva) una possibile chiave di lettura contemporanea per il capolavoro di Leonard Bernstein ‘West Side Story’. Perché di rovine anche qui si tratta oggi, rovine di un altro impero. Brutale e scintillante, tenero e struggente, già nel 1957, anno della sua nascita, ‘West Side Story’, su libretto di Arthur Laurents e versi di Stephen Sondheim, additava un sogno americano imbarbarito da violenze e razzismo. Oggi quel sogno non esiste più, e non esiste più neppure quell’impero. Ce lo racconta il bellissimo impianto scenografico di Paolo Fantin che, complici le luci di Alessandro Carletti, accoglie l’intera opera: una piscina abbandonata, che si intuisce essere stata un tempo splendida e gioiosa, e ora divenuta discarica, pronta a ospitare vecchi copertoni e le macerie di una Statua della Libertà ferita e offesa.
Azzurra come il crepuscolo romano che avvolge gli spettatori, con un trampolino imperiale che fungerà da balcone e da molte altre cose per i Romeo e Giulietta della storia, la piscina contiene e racconta l’intera vicenda, gli scontri tra le due bande rivali, i bianchi americani Jets e gli scuri portoricani Sharks, l’amore che sboccia improvviso e assoluto fra i due giovani di etnia diversa, Tony e Maria, la presenza ridicola e ingombrante degli ‘adulti’, poliziotti e gestore del drugstore, la rissa con l’uccisione dei due capobanda Riff e Bernardo, l’aggressione ad Anita con il relativo equivoco sulla fine di Maria, l’uccisione di Tony, la riconciliazione delle due bande nel finale. E a questa riconciliazione Michieletto non rinuncia, a dispetto di qualsiasi evidenza. È l’amore che supera l’odio e le macerie, il sogno di un domani migliore, di un giorno in cui si potrà convivere pacificamente, una speranza che non finisce mai.
Fabrizio Sansoni-Opera di Roma
Sergio Giacomelli (Bernardo) tra gli Sharks
È il 1949 quando due talentuosi giovani, il coreografo e regista Jerome Robbins e il compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein, Jerry e Lenny, decidono su idea di Robbins di scrivere uno spettacolo che realizzi in tempi moderni la vicenda shakespeariana dei due amanti di Verona. Lenny, pensando alle sue origini di ebreo russo, vuole in un primo momento sostituire Montecchi e Capuleti con ebrei e cattolici, ma poi, osservando la realtà newyorchese, opta per immigrati bianchi di seconda generazione (i Jets come Tony sono nati negli Usa e dunque sono, ovvero erano, per lo ius soli allora in vigore, cittadini americani) contro immigrati portoricani appena arrivati, senza cittadinanza e senza diritti, a contendersi un pezzo di strada di un quartiere, l’Upper West Side di Manhattan, che sarà di lì a qualche anno demolito. Quanto allo stile, Bernstein sa di inventare qualcosa di nuovo, sa di vivere un grande momento nella storia della musica americana, grazie al jazz e a una ricchezza di talenti creativi che fanno di quel momento un unicum e una necessità storica. Il suo lavoro mescola melodie in stile Broadway con ritmi ispanizzanti e con vari stili jazz, con reminiscenze di grande musica nascoste tra le pieghe della partitura unificata dal celebre intervallo di tritono che la percorre tutta caricandola di tensione e mistero. Bernstein lo compone per un’orchestrina senza pretese di Broadway, ma prima di morire firma la versione ‘definitiva’ con imponente orchestra sinfonica da lui diretta.
Fabrizio Sansoni-Opera di Roma
Sofia Caselli (Maria), Marek Zurowski (Tony)
A Caracalla, nell’allestimento del Teatro dell’Opera di Roma, è Michele Mariotti a dirigere la sontuosa orchestra e a regalarci il capolavoro nella sua ricchezza e complessità strutturale, con un tocco speciale per il Novecento che si sprigiona da certe pagine, ma anche nel ritmo e nella sensualità delle danze latinoamericane, o con l’affondo emotivo dei momenti jazz. L’indimenticabile coreografia di Robbins, che nasce organica allo spettacolo, è affidata al duo Sasha Riva e Simone Repele, noti in Svizzera per le collaborazioni con il Grand Théâtre di Ginevra e il Béjart Ballet Lausanne. La nuova coreografia è per il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, diretto da Eleonora Abbagnato: un po’ schiacciata, goffa, e molto di braccia, quasi in contrasto con l’originale di Robbins potentemente aerea, restituisce l’arroganza adolescenziale e crudele dei Jets dai capelli ossigenati e l’uniforme bianca, e la ruvida carnalità degli sgargianti Sharks.
Il cast è notevole, con le belle voci di Marek Zurowski (Tony) e Maria (Sofia Caselli), affiancata da un’Anita temperamentosa (Natascia Fonzetti). Pubblico folto e calorosissimo alla prima, dove si è vista l’orchestra riprendere, dopo la fine e dopo gli applausi, a un cenno del direttore, il trascinante mambo della festa, come nella più bella tradizione di Broadway. ‘West Side Story’ è in scena a Caracalla fino al 17 luglio.