È in sala l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, che intrattiene molto ma stupisce un po’ poco
Eredi del divismo millenario che ci ha incatenato, abbiamo sempre elevato la nostra specie a un’idea di perfezione e d’eternità, sia con l’ausilio e la creazione di divinità, rigorosamente a nostra immagine e somiglianza, ma anche semplicemente cercando idoli tra noi stessi, tra coloro che reputiamo più meritevoli. Maria Callas non ha mai stonato una nota, William Shakespeare non ha mai scritto un brutto verso, Jean Vigo non ha mai fatto un film scadente e il generale Suvorov non ha mai perso una battaglia; c’è qualcosa di affascinante, attraente e al tempo stesso proibito e falso nell’infallibilità, tanto che ci ha persuasi della sua esistenza, nonostante sia impossibile provarla come verità certa, tantomeno tangibile e scientifica. Forse servirebbe riappropriarci della ricerca, della bramosia della conoscenza, ritornare ai dubbi amletici, o ancora meglio a quelli cartesiani, o forse, meno probabile, è l’indice che stiamo intraprendendo una direzione di de-divinizzazione dell’uomo e riconquista dell’errore, dello sbagliare, che pareva essere, in passato, la cosa più umana che ci fosse.
Da settima arte, il cinema è ora diventata la prima, tanto da aver reso completamente labile la sua distanza dall’intrattenimento, oggi più mascherata e difficile da cogliere che mai. Esempi di questo trend filmico si ritrovano facilmente in Tim Burton, che in un qualche modo rigurgita le proprie idee a ogni prodotto, o in Francis Ford Coppola, che con ‘Megalopolis’ ha rinunciato alla profondità del passato per la pomposità del presente, quindi anche in Paul Thomas Anderson e il suo ultimo film, ‘Una battaglia dopo l’altra’, ma in maniera decisamente minore e meno spaventosa.
Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio) è un dissidente ed esperto di esplosivi che, insieme alla compagna Perfidia Beverly Hills, compie atti criminali in nome di una non meglio specificata ‘Resistenza’. In seguito a una rapina finita male, i due sono costretti a dividersi e Bob rimane dunque solo a prendersi cura della figlia Charlene. Nel frattempo, il colonnello bianco suprematista Steven J. Lockjaw, nel tentativo di entrare nel gruppo razzista elitario dei ‘Pionieri del Natale’, si mette alla ricerca di Charlene, che sospetta essere sua figlia e che macchierebbe quindi il suo status di purosangue e la sua ammissione alla congrega. In fuga da tutto, padre e figlia dovranno fare i conti con un passato composto da idee politiche anti-governative che li perseguita.
Si può e si deve subito spezzare un’enorme lancia in favore di Paul Thomas Anderson (PTA): ‘Una battaglia dopo l’altra’ – forse proprio come ‘Licorice Pizza’ – non è sicuramente un brutto film, anzi, ma forse eravamo stati viziati e abituati a una bellezza più profonda. Da ‘Hard Eight’ fino a ‘Il filo nascosto’, PTA non ha mai deluso lo spettatore, al contrario, è riuscito a rendere il cinema americano contemporaneo un po’ più ‘europeo’, più serio e autoriale. ‘Una battaglia dopo l’altra’ ragiona anche su temi importanti come razzismo, oppressione e transfobia, ma in maniera solamente abbozzata, quindi è dirompente e centrale la critica e la condanna dell’ipocrisia della nostra società, in particolare quella delle lotte contro i poteri forti, che qui risultano controproducenti oppure inutili, battaglie microscopiche che si dissolvono in vaste guerre destinate a ripetersi ancora e ancora, in questo moderno uroboro di opinioni.
Interpretazioni impeccabili di DiCaprio, Del Toro e Penn a parte, ormai lo sappiamo, l’America dei sogni, dei William Wyler e dei Frank Capra non esiste quasi più, avendo lasciato lo spazio ai dibattiti sulla disforia, ai colpi di fucile nei college, al politically correct forzato e alle Barbie che scimmiottano Marie Curie. Un hollywoodizzazione che tocca dunque sempre di più anche l’autorialità americana, e non solo la superficialità dell’intrattenimento, in un processo che ricorda, al contrario, il mito di Re Mida, perché d’oro nessun umano si può veramente nutrire.