I partiti svizzeri spingono per accordi di libero scambio oltre gli Stati Uniti, criticando la gestione attuale
È giusto che i negoziati con gli Usa per abbassare i dazi imposti dal presidente Donald Trump proseguano, ma bisogna anche concentrarsi verso altri Paesi, concludendo ulteriori accordi di libero scambio. I partiti svizzeri guardano avanti dopo gli ultimi aggiornamenti odierni sul tema da parte del Consiglio federale, fra punti concordanti e visioni divergenti.
Il governo ha trascurato in modo "imperdonabile" le relazioni con gli Stati Uniti, nonostante ciò la Svizzera non deve in nessun caso legarsi all'Unione europea, ha ribadito l'UDC in un comunicato. Stando al partito, dovrebbe invece alleggerire l'economia, abolendo immediatamente le regolamentazioni.
Se le tariffe doganali sono così alte è anche colpa dell'atteggiamento irresponsabile e arrogante del centro e della sinistra, accusa la formazione. Pure la richiesta del ministro degli esteri Ignazio Cassis di una soluzione a due Stati in Medio Oriente ha probabilmente peggiorato la situazione, aggiunge il primo partito del Paese.
Berna deve anche guardare altrove, concludendo accordi di libero scambio con il maggior numero di Stati possibili, evidenzia poi l'UDC. Un punto sul quale concorda il PLR: aprire nuovi mercati di sbocco, e farlo in modo tempestivo, ridurrebbe la dipendenza della Confederazione dagli Stati Uniti, si legge in una nota dei liberali-radicali.
La situazione è grave, ammette lo schieramento, ma non bisogna farsi prendere dal panico, visto che la Svizzera ha ancora valide carte da giocare nelle trattative. L'importante è che si resti uniti e si stabiliscano le giuste priorità, sottolinea il PLR.
"Con la Svizzera si può negoziare, ma non giocare", avverte da parte sua il presidente del Centro Philipp Matthias Bregy, che esorta comunque l'esecutivo a mantenere la calma e ad agire con determinazione nel prosieguo dei colloqui. "Con Donald Trump non si sa mai cosa succederà domani", ricorda il partito in una nota.
Il Centro propone al governo di valutare contromisure che abbiano un effetto significativo senza gravare eccessivamente sulla popolazione. Si dovrebbero quindi prendere in considerazione dazi doganali su beni statunitensi che possono essere prodotti in quantità sufficienti in Svizzera o importati da altre nazioni.
Il Consiglio federale deve reagire introducendo una tassa digitale per i gruppi tecnologici americani e rinunciando all'acquisto dei caccia F-35, è la posizione della presidente dei Verdi Lisa Mazzone. Invece di proseguire sulla strada della deregolamentazione, occorre aiutare in modo mirato le imprese colpite dai dazi ricorrendo al lavoro ridotto, afferma, citata in un comunicato del suo partito.
Per i Verdi in ogni caso, la strategia della presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter di ingraziarsi e agire da sola di fronte a Trump si è rivelata "un fallimento cocente". È chiaro che l'Ue, e non gli Usa, ai quali bisogna essere meno legati, è il nostro partner più affidabile, si dicono convinti gli ecologisti.
Contenuti simili pure in casa PS, con il co-presidente socialista Cédric Wermuth che, in un post sulla piattaforma Bluesky, chiede fra le altre cose lo stop all'acquisto degli F-35 e un coordinamento con Bruxelles. L'argoviese domanda inoltre di rinunciare a programmi di deregolamentazione sconsiderati e di elaborare con le parti sociali soluzioni settoriali per proteggere i posti di lavoro.
Il governo torna dagli Stati Uniti con un risultato "misero", lamentano dal canto loro i Verdi liberali, che giudicano "inaccettabili" dazi del 39%. L'intera Svizzera deve rispondere con una sola voce a questa sfida, dice, citata in una nota, la vicepresidente Céline Weber, per la quale non bisogna "farsi abbattere dal disprezzo dell'amministrazione americana".