L'autorità comunale ha dovuto riconoscere a un’associazione culturale islamica questa possibilità dopo anni di battaglie legali
È una decisione che ha il sapore di una resa quella presa dal Comune di Cantù che, dopo undici anni di battaglie legali, ha dovuto riconoscere all’associazione culturale Assalam la possibilità di trasformare in un luogo di culto l’interno del capannone di via Milano, da tre lustri sede del sodalizio. Dopo anni spesi a dire ‘’mai la moschea a Cantù‘’, da parte della Lega che aveva inserito il proposito anche nel programma elettorale, per ironia della sorte è toccato proprio a un sindaco del Carroccio, Alice Galbiati, firmare, nei giorni scorsi, il provvedimento che riconosce alla comunità islamica il diritto di utilizzare il grande capannone nella zona artigianale della città anche per pregare.
Va detto che non c’erano alternative. Il Consiglio di Stato (massima istanza della giustizia amministrativa, le cui decisioni sono inappellabili) lo scorso maggio aveva respinto l’appello promosso dal Comune contro l’associazione, condannando l’ente a pagare 7mila euro di spese legali e soprattutto ad applicare la sentenza del Tar. Tribunale che lo scorso 13 marzo aveva accolto il ricorso del centro islamico imponendo al Comune di autorizzare il cambio di destinazione d’uso.
La pronuncia del Consiglio di Stato concedeva all’amministrazione di Cantù un mese di tempo per completare le verifiche, scaduto il termine se ne sarebbe dovuto occupare il prefetto di Milano, nel ruolo di commissario ad acta. Alla fine non ce n’è stato bisogno e il sindaco ha firmato il provvedimento.