Estero

Israele bombarda un palazzo della Jihad a Damasco

13 marzo 2025
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Dopo il sud della Siria, Israele è tornata a colpire la capitale Damasco prendendo di mira un edificio alla periferia della città indicato come sede della Jihad islamica, il gruppo armato palestinese alleato di Hamas nella Striscia di Gaza e considerato da Israele, Stati Uniti e Unione Europea "un'organizzazione terroristica".

Mentre le autorità israeliane hanno minacciato nuovi attacchi in Siria, il nuovo presidente siriano Ahmad Sharaa (Jolani) ha firmato il tanto atteso Annuncio costituzionale, tre mesi dopo il suo arrivo al potere seguito alla dissoluzione del regime incarnato per più di mezzo secolo dalla famiglia Assad.

Il raid israeliano, confermato dal premier Benyamin Netanyahu, ha colpito il quartiere periferico di Dummar. Si sono registrati danni materiali ma non è chiaro quale sia il bilancio delle vittime. L'Osservatorio per i diritti umani in Siria segnala "almeno un morto", mentre l'agenzia governativa Sana riferisce di "tre feriti". "La nostra politica è chiara: colpiamo chiunque ci attacchi o prepari un attacco", ha detto Netanyahu. Fonti locali a Damasco riferiscono di danni all'edificio, dove erano da settimane alloggiati sfollati siriani. Un rappresentante della Jihad islamica, citato da media internazionali, ha affermato che il palazzo usato in passato dal leader del gruppo, Ziad Nakhale, è chiuso e disabitato da cinque anni.

Poco dopo il raid nemico, al palazzo presidenziale di Damasco si è svolta la cerimonia per la presentazione dell'Annuncio costituzionale, un testo provvisorio che dovrebbe traghettare il Paese nella fase di transizione. Questa, secondo quanto detto da Sharaa, durerà "cinque anni". "È una nuova pagina della storia della Siria, dove sostituiamo l'ingiustizia con la giustizia e la sofferenza con la misericordia", ha dichiarato Sharaa.

Il testo dell'annuncio, composto in 44 articoli, conferma due punti chiave già presenti nelle costituzioni precedenti promulgate dagli Assad: la giurisprudenza islamica rimane la fonte principale del diritto e l'Islam rimane la religione del capo di Stato. Nella dichiarazione si stabiliscono, inoltre, il rispetto dei diritti di libertà di opinione ed espressione, di pari opportunità tra i cittadini, di garanzia delle specificità delle varie comunità siriane, del pieno rispetto dei diritti sociali, economici e politici delle donne. Gli analisti sono però cauti e aspettano di leggere il testo completo per dare un giudizio sul lavoro della commissione governativa. Anche perché, rispetto all'ottimismo seguito all'accordo con le forze curdo-siriane, l'annuncio odierno segna un passo indietro: il nome dello Stato rimane "Repubblica araba di Siria", con un chiaro riferimento alla supremazia dell'identità araba rispetto a quella curda.

Intanto, secondo l'Osservatorio, è salito a 1'473 civili uccisi, in larga parte alawiti, inclusi donne e bambini, il bilancio dei massacri compiuti dal 7 marzo scorso nelle regioni costiere di Tartus e Latakia e lungo la valle dell'Oronte. Nel vicino Libano si sono rifugiati circa 10'000 alawiti. Altri 8'000 sono invece ancora rifugiati nella base russa di Hmeimim, vicino a Latakia.