La CPI respinge le accuse e l'UE valuta uno scudo giuridico contro le sanzioni statunitensi
Beni congelati, conti bloccati, carriere screditate. Donald Trump torna a sfidare apertamente la giustizia internazionale annunciando nuove sanzioni a quattro giudici della Corte penale dell'Aia rei, ai suoi occhi, di aver oltrepassato il limite indagando sui presunti crimini di guerra americani commessi in Afghanistan e autorizzando il mandato d'arresto per Benjamin Netanyahu.
Dopo il procuratore capo Karim Khan, a finire nella blacklist Usa questa volta sono l'ugandese Solomy Balungi Bossa, la peruviana Luz del Carmen Ibáñez Carranza, la beninese Reine Adélaide Sophie Alapini-Gansou e la slovena Beti Hohler. Toghe "politicizzate", è tornato a rilanciare il premier israeliano, ringraziando Washington per "aver difeso il diritto delle democrazie a proteggersi dal terrorismo selvaggio".
Ma la Cpi - che Stati Uniti e Israele non riconoscono - non indietreggia e, definendo le sanzioni "deplorevoli", ha riaffermato la volontà di proseguire "senza remore" l'esercizio del proprio mandato, forte dell'appoggio dei suoi 125 Stati parte. Tra cui l'Ue - eccetto Budapest - che, già alle prese con il delicato negoziato sui dazi, non esclude l'ipotesi di attivare lo scudo giuridico anti-sanzioni.
A dare voce alla linea dura della Casa Bianca è stato il segretario di Stato Marco Rubio che ha accusato la Corte di "rivendicare arbitrariamente il diritto di indagare, incriminare e perseguire cittadini americani e alleati". Un nuovo affondo dopo quello di febbraio, quando Khan - ora in congedo per un'indagine su presunte condotte sessuali inappropriate arrivata mentre preparava la richiesta di mandati di cattura per i ministri israeliani Bezalel Smotrich e Ben Gvir - era finito sulla lista nera.
Si tratta di "un chiaro tentativo di minare la nostra indipendenza", è stata la dura replica dell'Aia, che ha denunciato come "prendere di mira chi si batte per accertare le responsabilità nei crimini di guerra, contro l'umanità, genocidio e aggressione, non aiuta i civili intrappolati nei conflitti" e "non fa altro che incoraggiare chi crede di poter agire impunemente".
Una difesa che ha trovato l'immediata sponda europea nei messaggi all'unisono dei due presidenti Antonio Costa e Ursula von der Leyen a tutela della Cpi, "pietra angolare della giustizia internazionale", che deve poter agire "libera da pressioni", affinché "lo stato di diritto prevalga sul potere". Dalle parole affidate ai social, il sostegno potrebbe tradursi in un atto concreto: tra i Ventisette, Olanda, Belgio e Slovenia - patria della giudice sanzionata Hohler, dal passato come consulente per la missione Ue sullo stato di diritto in Kosovo - hanno annunciato l'intenzione di proporre l'attivazione "immediata" dello scudo giuridico Ue per neutralizzare l'effetto di sanzioni straniere giudicate illegittime.
Uno strumento già impiegato in passato contro le misure extraterritoriali statunitensi su Cuba e Iran, invocato a marzo dalla stessa presidente della Cpi, Tomoko Akane, e che ora potrebbe tornare al centro del braccio di ferro transatlantico. La cautela per il momento prevale: "Monitoreremo le implicazioni dell'ordine esecutivo" varato dagli Usa "e procederemo un passo alla volta", ha fatto sapere Palazzo Berlaymont, a cui spetta la prima mossa per attivare lo statuto di blocco, che non richiede l'unanimità. Lo strumento disinnescherebbe sul nascere le restrizioni, vincolando Paesi membri e operatori economici a non eseguirle: le banche, ad esempio, non potrebbero toccare i conti delle giudici nel mirino.