I paesi arabi del Golfo temono l'espansione della guerra e le conseguenze economiche globali
Con la guerra che infiamma l'area dall'altopiano iranico al Mediterraneo, i paesi arabi del Golfo rimangono estremamente cauti perché temono che l'incendio regionale possa allargarsi alla Penisola araba, con conseguenze catastrofiche su scala regionale e globale.
A parte condannare Israele per aver avviato questa nuova fase della guerra e invocare insistentemente la soluzione negoziale, l'Arabia Saudita, il Qatar, il Bahrain, il Kuwait, l'Oman e gli Emirati Arabi Uniti sono preoccupati che il raggio della violenza possa minacciare direttamente i loro rispettivi territori, così vicini all'Iran e dove sono presenti basi militari degli USA e siti energetici chiave.
Mentre gli Emirati e il Bahrein hanno rapporti diretti sia con l'Iran sia con Israele, l'Arabia Saudita e il Qatar hanno un rapporto ambivalente nei confronti dello Stato ebraico: senza aver formalizzato le relazioni diplomatiche, Riad e Doha trattano di fatto con gli israeliani soprattutto tramite la mediazione degli Stati Uniti, la potenza globale alleata dello Stato ebraico e dei paesi arabi del Golfo. Tra questi paesi ci sono anche il Kuwait e l'Oman. Quest'ultimo da anni si propone come mediatore proprio tra Washington e Teheran: a Mascate erano in programma nel fine settimana colloqui tra rappresentanti americani e iraniani per negoziare sulla questione del nucleare.
Il vero asset dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) è la geografia: la loro prossimità alla Repubblica islamica e il loro essere crocevia tra Oceano Indiano e Mediterraneo li rende da tempo attori chiave nel sistema dominato da Washington e da Israele.
Poco prima che Israele avviasse la nuova massiccia campagna contro l'Iran, i vertici iraniani avevano minacciato di prendere di mira le basi americane e gli interessi occidentali nella regione, incluse le installazioni in Qatar, Bahrein, Emirati, Kuwait, Arabia Saudita e Oman.
L'evacuazione della sede diplomatica degli USA in Iraq e l'allerta al personale americano in tutta la regione poco prima dell'avvio degli attacchi israeliani sono stati dei campanelli d'allarme molto preoccupanti. Subito dopo i primi raid contro l'Iran, venerdì scorso le autorità saudite hanno contattato i vertici iraniani per ribadire, di fatto, la neutralità di Riad in questa fase del conflitto.
Gli analisti ricordano inoltre quanto siano concreti i rischi da un punto di vista energetico. Un eventuale avvitamento bellico nel Golfo porterebbe al tanto temuto blocco dello stretto di Hormuz, dove passa circa il 20% del commercio mondiale di petrolio e il 30% di quello di gas naturale. Già prima dell'attacco, il recente aumento dei prezzi del petrolio, superiore al 5%, aveva evidenziato le tensioni in atto e le ripercussioni immediate sui mercati.