Estero

Proteste in Ucraina contro la legge anti-corruzione di Zelensky

La nuova normativa congela i poteri delle agenzie anti-corruzione, suscitando critiche interne e dall'UE

23 luglio 2025
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Non succedeva dall'inizio dell'invasione russa. Kiev, Leopoli, Dnipro, Odessa, Sumy, Luc'k: le piazze ucraine si sono ridestate con migliaia di manifestanti nelle strade.

Questa volta non per rispondere ai bombardamenti, ma per contestare la legge approvata in fretta e furia dalla Rada e firmata dal presidente Volodymyr Zelensky che congela i poteri di Nabu e Sapo, le due agenzie nazionali simbolo della lotta alla corruzione. Un provvedimento che, nel tentativo di rafforzare i bastioni contro l'infiltrazione russa dopo l'arresto di due funzionari sospettati di essere al soldo di Mosca, ha finito per incrinare quelli dell'indipendenza degli organi di giustizia.

Scatenando, oltre all'ondata di protesta civile, la dura reazione degli alleati occidentali. A partire da Ursula von der Leyen che ha chiamato direttamente il presidente ucraino per "chiedere spiegazioni" ed esprimere "profonda preoccupazione". Sullo stato di diritto, è stato il monito europeo nella reprimenda più sonora dall'inizio del conflitto, "non c'è compromesso" e neppure sul percorso di adesione all'Ue.

"Bisogna purificare tutto", ha avvertito Zelensky rivolgendosi alla nazione poco dopo la firma della legge, invocando la necessità di proteggere le istituzioni da ogni ombra d'influenza russa. "Ascoltiamo la società", ha quindi scritto il presidente su Telegram, facendo leva sul "nemico comune" da cui difendersi: "Gli occupanti russi e la protezione dello Stato ucraino" che, ha sostenuto, "richiede un rafforzamento delle forze dell'ordine e dei sistemi anticorruzione e quindi un vero senso di giustizia".

L'Ufficio nazionale anti-corruzione (Nabu) e la Procura specializzata, istituite dopo la rivoluzione nel 2014 per sradicare il malaffare ai vertici dello Stato, "continueranno a operare, ma senza interferenze ostili", è stata l'assicurazione del presidente prima di incontrare, già in mattinata, i vertici delle agenzie e promettere un nuovo ad hoc "entro due settimane", tendendo la mano all'opinione pubblica e rassicurando i partner europei sulla volontà di mantenere saldo il percorso di riforma per l'ingresso nel club dei ventisette.

Il chiarimento non ha però placato le tensioni e i toni europei si sono fatti sempre più severi. Le due autorità sono "pilastri del programma di riforme" richiesto ai Paesi che aspirano a far parte dell'Unione e la loro indipendenza è "essenziale per preservare la fiducia dei cittadini", è stata la sottolineatura di un portavoce dell'esecutivo von der Leyen rincarata alla posizione della commissaria all'Allargamento, Marta Kos, che ha bollato la legge come "un grave passo indietro" da parte di Kiev.

Dalla stessa linea si sono mosse anche Berlino e Parigi che, per bocca dei ministri Johann Wadephul e Benjamin Haddad, hanno puntato il dito contro un provvedimento visto come un ostacolo "al cammino europeo dell'Ucraina". "Non è troppo tardi per correggere il tiro", ha incalzato il francese. Ma la levata di scudi più netta è arrivata dal fronte orientale. Il sostegno a Kiev "non è un assegno in bianco", ha avvertito Praga, a cui ha fatto eco poco più tardi Varsavia spingendosi a etichettare il Paese come "corrotto". In quanto tale, ha tagliato corto il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski, "non entrerà mai in Europa".

Dal canto loro, le due agenzie - che per tutta la guerra non hanno mai fermato il lavoro indagando parlamentari, alti funzionari e persino un ex vice capo dell'ufficio presidenziale - hanno rotto il silenzio per reclamare con una nota congiunta "garanzie legislative" e "piena autonomia". "La repressione non può sostituirsi alla giustizia", hanno evidenziato. E dalla Rada l'opposizione ha rilanciato con il deputato Yaroslav Zheleznyak, definendo la norma "una vergogna da cancellare". In arrivo potrebbero esserci un disegno di legge per abrogarla e il ricorso alla Corte costituzionale.