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Calimero e la superiorità

2 febbraio 2025
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Un giorno feriale d’inverno, il cielo terso alle prime luci del mattino, dopo una notte sorprendentemente serena ci si può risvegliare canticchiando “Sveglia e caffè, barba e bidet, presto che perdo il tram…”, riportando così alla memoria una tra le scene più famose dei film di Paolo Villaggio: quella della sveglia tratta dal primo Fantozzi del 1975. Giornali alla mano, alla radio il Tg. Qualche minuto e poi del tragicomico ragioniere Ugo rimane solo la parte drammatica. Probabilmente oggi quel Fantozzi indosserebbe una camicia troppo slim per il suo panciotto, lavorerebbe in un ufficio vetrato con arredi di design ma, tutto sommato, tenterebbe ancora di prendere l’autobus al volo per poi perdere il tram. Leggiamo e sentiamo di alibi oblunghi simili a gonfiabili da piscina, di tweet accettati come richiesta di dimissioni impossibili da respingere, del diritto alla critica inteso come lesa maestà, di etilometri scambiati per microfoni, del bavaglio “legale” al quarto potere, di ex Macelli a cui vengono meno le fondamenta e nella notte crollano, del diritto di essere sentiti ormai démodé, dell’omertà imbrogliata per discrezione. Sul serio tutto vero?

Questo insieme di accadimenti che più o meno direttamente da mesi ci coinvolgono, sembra fare parte della trama di un noir grottesco con protagonisti, tra gli altri e apparentemente contrapposti, il complesso di superiorità e la sindrome di Calimero. Dapprima quella condizione connotata da atteggiamenti di supponenza e presunzione nonché dalla convinzione di avere capacità e valore superiori rispetto alla media. Un complesso che pare definire le gerarchie secondo i ranghi di dominanza e di sottomissione. In seguito il pulcino nero per la fuliggine, noto per la frase “è un’ingiustizia però”, divenuto simbolo di quel vittimismo accompagnato dalla sensazione di essere incessantemente martire di un susseguirsi di avvenimenti che vanno sempre storti. Insomma, da un lato gli amici degli amici baciati dalla fortuna, dall’altro gli amici sbagliati bersagliati dalla mala sorte; da un lato gli eletti, dall’altro i comuni mortali.

“Questo non è il Vietnam, è il bowling, ci sono delle regole” dice Walter estraendo la pistola e, puntandola verso il suo interlocutore, aggiunge: “Smokey, stai entrando in una valle di lacrime”. Sono frasi tratte da “Il grande Lebowski”, film culto dei fratelli Coen, dove un cantone della terra viene inteso come luogo di sofferenza ed espiazione. Di certo c’è minaccia e minaccia e così la mente torna al ragioniere Ugo, costretto, per la paura di perdere il posto di lavoro, a vedere e rivedere il film “La corazzata Potëmkin”. Smokey minacciato segna uno zero anziché un otto sulla tabellina dei punteggi, una decisione comprensibile: o segni zero o muori. Invece Fantozzi, lungamente vessato reagisce, invitato dal direttore sale sul palco a esprimere il suo profondo giudizio estetico, maturato nel corso degli anni, scatenando così novantadue minuti di applausi ininterrotti e una mini rivolta. Poi tutto torna più o meno come prima. Smokey continua timoroso a giocare a bowling. Il ragioniere Ugo, dopo la punizione, ritorna mesto in ufficio ma, almeno per una sera, Calimero, tolta la fuliggine, è tornato bianco.