In questo primo anno da Sindaco sto vivendo una miriade di esperienze e confronti, ma questi sono tempi strani. Stiamo vedendo cose che non avremmo mai pensato: una politica che si vanta nel denigrare, una recrudescenza di linguaggi e gesti che come società pensavamo di aver superato per sempre. In questa aria irrequieta, in cui tutto sembra lecito, fa male leggere frasi che accusano un Municipio di “camuffare”, di “politica ideologica”, di “odio al trasporto privato”, e il giorno seguente “quella politica portata avanti da chi non ha nulla da perdere” e “soliti specialisti che assecondano la politica per accaparrarsi il mandato”. Un registro aggressivo che non serve a nulla e che ha il solo pregio di far sentire chi firma l’unica persona ad aver capito tutto, e gli altri una banda di disonesti. Accetto molto, ma questo no. Quanto viene avanzato negli articoli il sottoscritto e il Municipio di Locarno hanno già avuto modo di spiegarlo, con una gentilezza e un rispetto che devono essere imprescindibili.
Dalla presentazione del progetto riguardante la Città Vecchia – che lo ripeto non è affatto una “tattica del salame” verso la chiusura totale o un esercizio alibi, ma una verifica sul campo – ho incontrato, discusso, risposto, ripetuto, e lo farò ancora: perché credo che non cedere alla sufficienza di aver ragione e non arrendersi alla chiusura tra le persone sia dovere delle Istituzioni.
Quindi sono a disposizione. Senza tattiche e con la speranza che a prevalere sia il bene pubblico.
Pur credendo nel progetto di sperimentazione della Città Vecchia, rispetterò gli esiti del processo democratico e il giorno dopo riprenderemo a lavorare con la stessa energia, in ogni caso. Su un’altra circolazione invece non intendo sperimentare. Come scrive Zagrebelsky ne L’esercizio della democrazia: “La democrazia è il regime della circolazione delle opinioni e delle convinzioni, nel rispetto reciproco. Lo strumento di questa circolazione sono le parole. Si comprende come in nessun altro sistema di reggimento delle società le parole siano tanto importanti quanto lo sono in democrazia; e quindi che la parola, per ogni spirito democratico, richieda una cura particolare”: credo che la popolazione ci guardi, e che se vogliamo un futuro sano prima della viabilità dobbiamo curare come ci relazioniamo gli uni con gli altri. Noi dobbiamo loro non solo strade pulite e servizi di qualità, ma prima di tutto dobbiamo renderli fieri di essere parte di una realtà, che seppur non perfetta, è pulita anche nel confronto.
Qualche giorno fa un bambino in Piazza Grande mi ha chiesto preoccupato: “Vero che tu non comincerai una guerra?”. Gli ho promesso di no, e ora scrivo queste parole perché la prima guerra che non voglio iniziare è qui, in casa nostra, con quelle armi che si chiamano parole. Siamo meglio di certi scambi e dibattiti che ho vissuto nelle scorse settimane. Anche se vediamo leader mondiali farlo, smettiamo di denigrare l’altra parte. Scegliamo l’incontro, invece dello scontro. Contrastiamo le idee, non le persone, e ricordiamoci che dietro ad ogni opinione c’è una persona come me, come te e come quel bambino. Che ci guarda e ci chiede di non iniziare altre guerre.