Tra le libertà fondamentali che caratterizzano le costituzioni democratiche vi è quella di voto. Il suo principale corollario è che essa venga praticata in un contesto che ne permetta un esercizio non solo libero dal punto di vista della scelta, ma anche autentico e responsabile, per quanto riguarda le condizioni al cui interno essa avviene. L’oggetto del presente scritto è proprio questo secondo aspetto, in particolare in tema di influenze sulle preferenze individuali mediante testi, immagini e video fuorvianti creati mediante l’Intelligenza artificiale (AI).
Occorre innanzitutto fare una premessa: in genere, stabilire cosa sia vero in assoluto è, da sempre, un’impresa piuttosto complessa, quando non addirittura impossibile: su questo fatto si scontrano da tempo varie concezioni filosofiche della scienza. Al contrario della verità, la falsità può invece essere identificata chiaramente una volta che si disponga anche solo di un’evidenza inoppugnabile in grado di alimentare il nostro senso critico.
Uno degli scenari sui quali si sta giocando la partita tra falsità e verità è TikTok, una piattaforma che secondo il sito Vsquare.org è usata da 24 milioni di cittadini tedeschi – ossia circa il 30% della popolazione, rispettivamente il 40% dei giovani fino ai 29 anni. In termini di accesso, essa è superata solo da Instagram e Facebook. Una delle caratteristiche comunemente riconosciute di TikTok è il basso livello di selettività delle norme che ne regolamentano l’uso e l’accesso. Un’altra è il fatto che i suoi algoritmi risultano essere particolarmente adatti per la creazione e diffusione di messaggi politici fuorvianti. Una delle principali organizzazioni ad approfittare di queste caratteristiche è l’AfD, il partito post-nazista e suprematista germanico, che ha realizzato su tale piattaforma una campagna elettorale a tappeto in occasione delle recenti elezioni politiche tedesche. Combinando elementi di disinformazione con strategie risultanti dall’applicazione di alcuni concetti di marketing alla politica, l’AfD è riuscita a ottenere un notevole consenso sul web e alle urne. Un esempio è di tale strategia è la creazione mediante l’IA di immagini dolci e rassicuranti di giovani donne - in realtà inesistenti - le quali dichiarano ad esempio che, durante il Covid, lo Stato ha soppresso la loro libertà. In modo complementare, sempre mediante l’uso dell’IA, sono state realizzate immagini di altrettanto inesistenti rifugiati minacciosi dalla pelle scura, ritratti mentre stavano litigando in modo violento. Secondo il sito democracy-reporting.org, l’AfD dispone di tutta una serie di account “torbidi” su TikTok, ossia di account non dichiarati, dedicati alla propagazione di simili contenuti, in grado di eludere i già deboli controlli che la piattaforma comunque impone a chi usa account regolari.
Come afferma Renée DiResta nel suo libro ‘Invisible Rulers: The People Who Turns Lies into Reality’, un’informazione falsa, se “virale”, diventa vera anche se in realtà non lo è. Viceversa, documentarne la falsità in modo rigoroso richiede tempo ed è un processo meno diretto, che molto probabilmente farà fatica a diventare “popolare”. Tutto ciò vale però se chi riceve l’informazione esercita regolarmente almeno in forma minima il proprio giudizio critico. Nella realtà, tuttavia, molto spesso le cose non vanno così. Come afferma correttamente Bruno Saetta sul sito Valigiablu.it, infatti, “la maggior parte della gente non crede a una notizia falsa perché la ritiene vera, ma piuttosto perché permette di rafforzare il senso di chi è. In questo senso la pubblicazione delle fake news è il carburante emotivo per l’identità performativa”. In poche parole, ci troviamo confrontati con persone che accettano l’informazione solo se questa è consonante con quanto già pensano, in genere sulla base di sensazioni “di pancia” o “di pelle”. In situazioni del genere, l’esercizio dello spirito critico tende verso lo zero. Si tratta nella gran parte dei casi di persone “transitate” attraverso i sistemi scolastici, che non sono riusciti a scalfire in modo significativo le loro modalità di ragionamento, tutto sommato sostanzialmente infantili. È forse giunta l’ora di riflettere sulla reale efficacia educativa degli attuali sistemi di istruzione, andando oltre la pura e semplice performance scolastica.