I premi di cassa malati continuano a salire senza tregua, e le famiglie ticinesi si trovano a dover tagliare su tutti i costi non essenziali, privandosi anche di alcuni sfizi che in un periodo di “vacche grasse” si potrebbero tranquillamente permettere, mentre il Consiglio di Stato sembra impantanato in un immobilismo decisionale che ha del clamoroso. E a pagare, ancora una volta, è il ceto medio: quello che non beneficia di sussidi, che finanzia lo Stato con le sue imposte e che non riesce più a respirare.
La pressione economica sulla sanità non è una novità. Ma ciò che è intollerabile è la mancanza di decisioni strategiche e strutturali da parte delle autorità, sia federali che cantonali. Le recenti proiezioni legate alla riforma federale Efas (finanziamento uniforme delle cure) sono allarmanti: si parla di un’esplosione dei costi annuali a carico del Cantone fino a 240 milioni entro il 2032, rispetto ai 57 milioni stimati inizialmente dalla Confederazione (vedasi articolo de laRegione del 7 maggio 2025). Già nel 2028 la cifra ammonterà a 100 milioni, e tutto questo senza che vengano prese contromisure concrete, e nemmeno si percepisce una visione a lungo termine su di un problema di tali dimensioni.
Nel frattempo, chi si trova nella cosiddetta “classe media” continua a essere colpito due volte: dai premi sempre più alti delle casse malati e da un’imposizione fiscale che non lascia respiro. Nessuna politica attiva di sgravio fiscale per questa fascia di contribuenti, nessuna estensione dei criteri per i sussidi, nemmeno parziali, per ammortizzare l’impatto devastante dell’inflazione sanitaria.
Una proposta concreta per invertire la rotta in Ticino esiste: la proposta di creare due ospedali cantonali – uno nel Sopraceneri e uno nel Sottoceneri – moderni, centralizzati, integrati con la formazione universitaria e in grado di razionalizzare le risorse e i costi, oltre che migliorare le prestazioni di cura a favore della popolazione. Questa visione mira a sostituire l’attuale rete ospedaliera dispersiva e frammentata, orientando il Ticino verso un sistema più efficiente, sostenibile e scientificamente avanzato. Si tratterebbe di creare un “Ospedale Universitario Ticinese” in grado di unire la pratica clinica, la ricerca e la formazione in ambito sanitario.
Tuttavia, l’ostacolo principale a una simile riforma non è né tecnico né finanziario, bensì politico e culturale: il campanilismo. In Ticino, troppo spesso negli ultimi trent’anni, le grandi riforme sono state affossate da logiche regionali e dalla paura di perdere prestigio territoriale o forza elettorale. L’interesse generale viene sistematicamente sacrificato sull’altare della geografa politica o della ricerca di voti per le famose “cadreghe”. E così, ancora una volta, per l’ennesima volta, si preferisce non decidere piuttosto che correre il “rischio politico” di scontentare qualcuno.
Le dichiarazioni d’intenti non bastano più. Servono scelte coraggiose, anche impopolari: ridurre la frammentazione del sistema, eliminare doppioni, investire nella prevenzione, adottare modelli di gestione ospedaliera trasparenti e rigorosi. Chi paga tutto, non riceve nulla in cambio. È ora che il Cantone scelga da che parte stare: con i propri cittadini o con il proprio immobilismo.