Il nuovo Papa ha spiegato davanti ai cardinali la scelta del suo nome, dovuta innanzitutto al fatto che oggi la Chiesa è chiamata a “rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. In questo senso il nome scelto richiama più o meno esplicitamente Leone XIII, l’ultimo Papa del 1800 e autore in particolare dell’enciclica Rerum Novarum, con cui chiedeva alla Chiesa di occuparsi di lavoratori e di questioni sociali. Le condizioni di lavoro dell’epoca erano difficili: bassi salari, un’eccedenza di lavoratori rispetto alla quantità di lavori non qualificati che li rendeva facilmente sostituibili. La competizione per il lavoro diventava sempre più feroce e la vita opprimente. Certamente le condizioni attuali sono diverse, ma le contraddizioni, i conflitti e i problemi non sono da meno. Questo riferimento più o meno esplicito all’enciclica di Papa Pecci suscita curiosità, anche perché essa verte sulla “questione sociale” ed è un richiamo allo spirito di carità contro le disuguaglianze sociali e il rischio per il lavoratore di rimanere ai margini della società. Va però chiarito che l’intera enciclica respinge la dottrina del collettivismo e conferma la legittimità morale, giuridica ed economica della proprietà privata. Certo, l’inadeguatezza delle proprie forze “spinge l’uomo a chiedere aiuto agli altri”; ma lo Stato “non deve assorbire né l’individuo né la famiglia; a entrambi dovrebbe essere concessa un’azione libera e senza vincoli”. Il diritto alla proprietà privata è visto come mezzo per garantire il proprio sostentamento e provvedere alle proprie famiglie; ed è il primo e fondamentale principio della vita sociale: “Se si vuole impegnarsi ad alleviare la condizione delle masse, deve esserci l’inviolabilità della proprietà privata”. Papa Leone XIII definì “decisamente ingiusta” l’intenzione di abolirla e trasferirla allo Stato: “Un tale sistema – sostenne – mina la libertà personale, distorce il ruolo proprio dello Stato e porta al disordine sociale”. Anziché affidarsi esclusivamente allo Stato, l’enciclica sottolinea la responsabilità delle famiglie, degli enti locali e delle associazioni di volontariato nel prendersi cura dei vulnerabili e nel promuovere il bene comune; ed esorta i lavoratori cattolici ad associarsi e a costituire organismi misti con gli imprenditori, secondo il modello di corporazioni di arti e mestieri: “Nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. Il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue”.
Certamente il compito di un Papa è quello di affermare i princìpi fondamentali della teologia ecclesiastica. Tuttavia, la missione dichiarata sin dall’inizio da Papa Leone XIV, di improntare la sua azione alla carità, fa pensare che lo spirito della Rerum Novarum possa essere riletto alla luce delle sfide attuali.