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La giustizia in cammino

(Ti-Press)

Il percorso evolutivo che va dalla vendetta personale alla Corte Suprema ha portato alla nascita dello Stato, che, nei sistemi liberaldemocratici, risulta istituzionalmente ineccepibile. Ora, il suo buon funzionamento dipende dalla qualità del giudice, a proposito del quale richiamo il monito di Guy Canivet, già membro del Consiglio costituzionale francese: “I migliori tra noi sanno che non si può giudicare gli altri senza la modestia, senza il timore, timore permanente, timore salutare di non avere la scienza sufficiente, di non essere nella disposizione di discernere il giusto dall’ingiusto; per noi, l’esame di coscienza deve essere una costante. Consapevoli del monito di Verlain, ‘chi su questa terra può giudicare senza fremere’, possiamo rendere giustizia solo con le mani tremanti”. Spetta quindi al Legislativo scegliere sempre il candidato migliore, anche perché lo Stato è giudicato dalla qualità della sua giustizia e la giustizia dalla qualità del giudice.

I rapporti fra i tre poteri dello Stato possono turbarsi, in quanto, dice Montesquieu, “ogni potere cerca di estendersi, di interferire sugli altri, di abusare delle sue prerogative; da qui, la separazione dei poteri e, se del caso, il tribunale costituzionale giudicherà. Il potere può anche sbagliare e, se dovesse causare un danno, questo potrebbe essere riparato facendo riferimento alla sua responsabilità personale, solidale con quella dello Stato”. Istituzionalmente è difficile immaginare qualcosa di più.

Ben altra è la giustizia internazionale attuale, la quale però ha seguito e sta seguendo la stessa evoluzione di quella nazionale, a dipendenza della lenta e difficile creazione dello “Stato internazionale”. Comunque sin dall’Antichità, specie nell’ambito della Lega Anfizionica, si trovano sanzioni penali contro i criminali di guerra suscitate dal diritto naturale. Poi, a partire dal Medioevo, sotto l’influenza della chiesa, si è imposta la distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta, con il castigo contro chi ha intrapreso una guerra ingiusta o non ha rispettato le regole relative alla condotta durante le ostilità: al “jus ad bellum” si è aggiunto il “jus in bello”. Tuttavia, solo con le convenzioni dell’Aia del 1899 la guerra ha ricevuto una regolamentazione generale. A livello nazionale è stato il presidente repubblicano Abramo Lincoln, durante la guerra di secessione (1861-1865), a umanizzare il conflitto.

Il trattato di Versailles (1919) prevedeva il diritto degli alleati di tradurre davanti ai propri tribunali le persone che avevano commesso atti contrari alle leggi e ai costumi di guerra; diritto sfociato però nel ridicolo processo di Leipzig. Per il Kaiser Guglielmo II era stato istituito un Tribunale penale internazionale ad hoc, pure sfociato nel nulla perché l’Olanda, dove si era rifugiato, non lo ha estradato. Per i rapporti civili (specie i trattati) tra Stati, venne creata la Corte permanente di giustizia internazionale, uno dei pochi istituti della Società delle nazioni che ha dato buoni risultati.

Infine il processo di Norimberga, apertosi il 18 ottobre 1945, marca una svolta storica sia nei fatti sia nelle idee, in quanto le circostanze, la costituzione, la composizione, lo svolgimento della procedura e l’epilogo ne hanno fatto un processo come fosse uno (normale) nazionale. Indi, con lo statuto di Roma del 17 luglio 1998 è stata istituita la Corte penale internazionale (Cpi) per giudicare i genocidi, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra. 125 Stati vi hanno aderito, non però gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Con quale risultato? Mentre il tribunale di Norimberga ha funzionato bene perché gli alleati vincitori della guerra, di fatto, formavano un Ente internazionale paragonabile a uno embrione di Stato, la Cpi non beneficia di detto sostegno, soprattutto nell’esecuzione della pena. È quindi comprensibile che in un mondo come il nostro, dove impera la forza a detrimento del diritto, un tribunale può funzionare bene solo quando uno Stato potente non ha un interesse diretto o indiretto nella fattispecie. Allora è inutile o quasi? No, perché la sanzione è anche morale, talvolta più grave di quella materiale. Un esempio? La condanna per crimine di guerra e di deportazione illecita di popolazione inflitta a Putin, e quella di violazione del diritto internazionale umanitario inflitta a Netanyahu, peseranno non poco sul loro amor proprio, a livello non solo personale e internazionale, ma anche familiare, nazionale e storico, senza contare gli inconvenienti di un arresto forzato per essere consegnati alla Cpi se si rendessero in uno Stato firmatario del trattato Roma. Per cui, l’istituzione ha anche effetto di prevenzione.

Quindi, in definitiva, il percorso evolutivo della giustizia internazionale, tenuto conto di tutte le circostanze, è già notevole e non è illusione sperare che continui. Ma allora, nell’uno e nell’altro ambito, che ne è della politica? Non si deve mai dimenticare, è Jean Jacques Rousseau che lo dice:“Se in terra vi fossero angeli, si governerebbero democraticamente”. E noi siamo uomini!