Chi ha vissuto, e vive, la politica dall’esterno, con lo spirito del cane sciolto, non può non provare simpatia per Goffredo Fofi, recentemente scomparso. Intellettuale atipico e ribelle, non inquadrabile negli schemi canonici, Fofi ha percorso la penisola in lungo e in largo, da Milano alla Sicilia, attratto dall’impegno sociale di Danilo Dolci e Aldo Capitini. Della sua attività come maestro degli ultimi, letterato, critico cinematografico e promotore di riviste non occorre insistere (ne ha già parlato su questo giornale Enrico Lombardi). A questi molteplici interessi vorremmo qui aggiungerne un altro, forse meno noto, quello per la ricerca sociologica. L’epoca è quella a cavallo degli anni Sessanta del secolo scorso. L’Italia era entrata nel vortice di una crescita economica senza precedenti, una convulsa corsa verso la modernità, con tutte le contraddizioni di uno sviluppo lasciato al caso. Nel 1962 Giorgio Bocca pubblicò i risultati di una prima ricognizione sotto il titolo Miracolo all’italiana, in cui registrava i profondi cambiamenti che stavano sconvolgendo il Belpaese: spopolamento delle aree alpine e appenniniche, imponenti flussi migratori dal Meridione verso il triangolo industriale del Nord, l’abbandono progressivo delle campagne, e infine gli affollati treni che partivano alla volta del Belgio, della Germania, della Svizzera. Torino, la città della Fiat, cresceva a vista d’occhio, sull’onda di un afflusso continuo di meridionali, una colonna in marcia di varia umanità alla ricerca di un impiego stabile nell’industria automobilistica. Erano uomini, donne e bambini che provenivano da aree rurali arretrate, con scarsa o nulla formazione di base, richiesti ma soltanto in quanto maestranze di fabbrica, non certo come cittadini con le loro famiglie. Le indagini su questo fenomeno erano appena agli inizi, e comunque la sociologia accademica non se n’era ancora occupata. In precedenza c’era stata l’iniziativa di Danilo Montaldi e di Franco Alasia, che nel 1960 avevano dato alle stampe uno studio pionieristico: ‘Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati’ (Feltrinelli). “Coree” erano definiti i quartieri cresciuti disordinatamente ai bordi della metropoli lombarda, suburre in cui confluivano i “terroni”, e che trovavano alloggio in casermoni eretti in tutta fretta, anonimi scatoloni di cemento privi di servizi e spazi verdi.
Agli inizi degli anni Sessanta Fofi propone all’editore Einaudi di svolgere una ricerca simile sulla prima capitale d’Italia, sotto il titolo ‘L’immigrazione meridionale a Torino’. Tuttavia l’impresa non va in porto: a volume terminato, alcuni consulenti della casa editrice, tra cui Cantimori e Bobbio, sollevano dubbi sulla metodologia adottata da questo “sociologo non laureato”. In realtà il lavoro non piace perché mette in cattiva luce sia il governo della città, sia lo strapotere della Fiat, “padrona e sfruttatrice degli immigrati a più livelli, anche illegali”. A ciò si aggiungeva un’ostilità meno visibile, quella del Partito comunista, che considerava l’emigrazione una iattura per l’Italia e il sottoproletariato che generava un potenziale nemico per le rivendicazioni della classe operaia regolarmente sindacalizzata. Alla fine il volume uscirà da Feltrinelli, ma solo qualche anno più tardi, nel 1964.
Nel frattempo quel Lumpenproletariat, condannato dalla scolastica marxista come entità amorfa e priva di coscienza di classe, era insorto in Piazza Statuto, contestando i sindacati ufficiali e scontrandosi duramente con la polizia (luglio 1962). Erano operai, perlopiù giovani, che la stampa filo-padronale ricondusse alla categoria dei teppisti, ma che in realtà esprimevano un moto d’indignazione e di protesta che nessuno, fino a quel momento, aveva saputo cogliere, interpretare e incanalare. La questione sociale ritornava al centro del proscenio, dopo che per anni soltanto scrittori come Pasolini, Moravia, Zavattini, e cineasti come Luchino Visconti, avevano saputo segnalarne la precaria esistenza nel retrobottega del miracolo economico. Fofi fu tra i primi indagatori di questa irrefrenabile transumanza umana, una migrazione che ha investito l’Italia con la forza di una tromba d’aria, ribaltandola e ridisegnandola dalle Alpi alle isole.