laR+ I dibattiti

Lupo, io sto dalla parte delle capre

Come loro, sono un abitante delle valli e della montagna. Il loro microcosmo socio-economico è paragonabile al nostro di umani

(ti-press)
28 luglio 2025
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Seguo con interesse e coinvolgimento il dibattito attorno al lupo. Ne ho sentite tante, anche troppe, da parte di un sacco di persone poste a difesa del lupo, ma anche di chi è contro. Finora non ho sentito il parere delle capre che sono le principali vittime. Proviamo a fare l’esercizio per esprimere i loro vissuti.

Qualcuno si chiederà, chi è questo signore che pretende di vestire la pelle delle capre? Come le capre, sono un abitante delle valli e della montagna. Mio padre, quando ero bambino, oltre alle mucche, allevava anche una quarantina di capre. Dai 4 anni fino a 18 salivo sull’alpe Vaccariscio sopra Fusio e da ragazzo la mia principale mansione era quella di riportare a cascina, due volte al giorno, il centinaio di capre che estivavamo lassù.

Non ho fatto studi di biologia, zoologia o scienze affini, ma ho studiato scienze sociali e umane che mi hanno aiutato a capire meglio le interazioni tra gli allevatori e gli animali. Il microcosmo socio-economico che si crea tra loro è paragonabile a quello in cui interagiscono gli umani. Con queste bestie intrattenevo dei rapporti stretti: le conoscevo per nome, per abitudini e soprattutto per carattere. Condividevamo una quotidianità dotata di regole e di doveri reciproci e tra noi vi era complicità, rancori, assuefazione, ma ci volevamo bene, anche se devo confessarlo mi è successo di prenderle a sassate, di inveire, ma poi alcune preferivano farsi mungere da me e non da altri.

Migliaia di capre per secoli hanno popolato le nostre vallate salendo sugli alpi ogni estate. Oso dire che sono (erano) loro l’animale più diffuso e adatto al nostro territorio, più delle vacche e delle pecore. Diversi alpi, i più poveri, non avrebbero assicurato sussistenza a una o più famiglie senza le capre. A Tomeo, lo rilevo dal libretto lasciatomi da mio bisnonno, nel 1875 vi erano 22 vacche e 111 capre e più della metà del latte in caldaia era assicurato da queste ultime.

Per chi non conosce queste realtà è utile spiegare il miracolo della convivenza e della complementarità fra vacche e capre sull’alpe, oggi messo in pericolo dal lupo. Le vacche pascolano nelle zone più accessibili e meno pericolose e vanno accudite dal pastore che le smista con abilità laddove vi è erba da sfruttare di giorno e di sera. Le capre invece dovrebbero stare il meno possibile sui pascoli destinati alle vacche e sfamarsi laddove queste non arrivano (zone più pericolose e a ridosso dei pizzi dove l’erba è migliore). La capra è un essere libero che si muove senza ostacoli e senza limitazioni, solo così offre il meglio di sé, anche nella resa lattifera.

Da ragazzo mi succedeva di partire all’alba da Corte di Fondo a 1’500 metri e di farmi mille metri di dislivello fin dalle parti del Sassalto per riportare le capre per la mungitura. Verso le due del pomeriggio, sotto il sole o tra le saette, non bastavano più i mille metri del mattino, perché le capre erano risalite pascolando fin oltre il Sassalto, fino in cima al Cantómm di Vidéi a ridosso del Piz Canàa. Giù di corsa un’altra volta senza pensare che l’indomani sarebbe stata la stessa cosa!

Vita grama per il capraio, ma per le capre era la cuccagna: non l’erba secca e strapazzata delle vacche, ma quella fresca condita dalla matulina pescata tra le pietre. Ora lassù scorrazza il lupo e per la capra è territorio proibito. La capra, per secoli tassello insostituibile per la vita delle comunità alpine, viene costretta nei recinti, obbligata a pascolare in luoghi non adatti a lei, accompagnata dai cani che a loro proprio non piacciono e ciò con influssi negativi sul rendimento e sul suo stato generale.

Il paradigma adottato per la gestione del lupo va cambiato: non si deve limitare la libertà delle capre, che devono poter continuare a muoversi liberamente seguendo i cicli secolari dettati dalla natura e dal ruolo assegnato loro dall’uomo; semmai è lo spazio d’azione del lupo che va ridotto, anche se, bisogna confessarlo, la convivenza non è possibile e mai lo è stata. I lupi vanno eliminati o fortemente ridotti nel numero, non seguendo però i canoni e i tempi delle pratiche burocratiche che mal si addicono alla spirito della montagna che funziona nell’immediatezza delle risposte ai problemi che si pongono. Se proprio si vogliono lupi tra le nostre montagne si assegnino loro delle riserve (anche vaste considerato che i luoghi abbandonati non mancano) trovando il modo (con dei chip o altro) di contenerli in perimetri definiti, evitando che sconfinino negli alpi ancora sfruttati in cui la vita degli alpigiani e delle bestie dovrebbe continuare a scorrere come avviene da secoli.