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Di lupi, agricoltura, turismo… e spazio

(Ti-Press)

Il tema è ormai noto, caldo, divisivo, ma soprattutto di una rilevanza fondamentale. Avrei sinceramente preferito impiegare il mio tempo per scrivere qualcosa di più sereno, di positivo. Invece, mi trovo costretto a tornare su una questione che da mesi scuote la nostra realtà, con la triste consapevolezza che, a dispetto delle parole, ben poco sta realmente cambiando.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un’escalation impressionante di predazioni: pecore, capre, animali selvatici sbranati, feriti, lasciati agonizzanti per ore. Decine, forse centinaia di animali uccisi o mutilati. Ma ciò che colpisce è il doppio standard con cui questi animali vengono considerati: sembrano essere di “serie B”, sacrificabili nel nome della protezione assoluta del lupo – protetto dai burocrati di Bruxelles e da una parte della politica cantonale e federale. Ci dicono che il lupo contribuisce alla biodiversità: ne dubito fortemente.

Forse qualcuno, dalle comode scrivanie cittadine, dovrebbe ricordare che nel secolo scorso il lupo è stato rimosso da queste regioni. Ci sarà stato un motivo. Oggi, in Ticino, i lupi si stanno moltiplicando e con loro aumentano le predazioni. Chi dovrebbe intervenire continua a tergiversare, lasciando soli i nostri agricoltori – soprattutto quelli di montagna – che si trovano in grande difficoltà. Alcuni alpeggi sono già stati abbandonati, altri lo saranno a breve. Un danno enorme per l’agricoltura, ma anche per i Patriziati e per le aziende agricole che in questi anni hanno investito tanto nella gestione e valorizzazione del territorio.

A tal proposito, una domanda sorge spontanea: perché nel Vallese sono stati abbattuti 35 lupi, nei Grigioni 48, e in Ticino solo 3? È evidente che qualcuno, qui, non ha fatto i compiti. E mentre ci si ostina a parlare di “non trasformare le valli in un far-west”, ci si dimentica che la realtà sta già scappando di mano.

Ho letto con interesse l’intervista al Consigliere di Stato vallesano Christoph Darbellay: lì si nota un approccio attivo, pragmatico, concreto nella gestione del problema. In Ticino, invece, si continua a ripetere che le greggi vanno “protette meglio”, come se bastasse dirlo per risolvere la questione. Parlare è facile; la pratica, in montagna, è tutta un’altra cosa.

Si chiede l’utilizzo di cani da protezione. E qui si apre un altro capitolo. In territori come il nostro, con una fitta rete escursionistica e turistica, questi animali si sono più volte dimostrati inadatti e, in certi casi, persino pericolosi per le persone. Le conseguenze, anche gravi, sono sotto gli occhi di tutti. Oltre agli agricoltori, anche il turismo – in particolare quello pedestre e su Mtb – è messo a dura prova.

Il messaggio che vorrei far passare è semplice: il lupo fa il lupo, il cane da guardia fa il suo mestiere e fin qui nulla da dire. Ma i difensori del lupo (sempre loro, quelli seduti dietro le loro comode scrivanie, che alla sera si ritrovano al bar a bersi uno spritzino in città…) – lontani dalla realtà concreta di chi vive le valli – devono comprendere che alle nostre latitudini non c’è spazio per grandi predatori, la superficie del nostro territorio non è sufficiente! Non si può avere tutto. O si sceglie di sostenere davvero l’agricoltura e il turismo di montagna, o si accetta il rischio concreto di un progressivo abbandono delle attività rurali, con conseguente degrado ambientale ed economico.

È ora di decidere da che parte stare.