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La resa dell’Europa in una foto

Non sono un economista. Né un esperto di commercio internazionale. E proprio per questo non mi avventurerò in analisi su dazi, bilance commerciali o vantaggi comparati. Non è il mio mestiere. Non ho gli strumenti – e, in fondo, nemmeno l’interesse – per giudicare se fosse più opportuno accettare una tassa del 15% su alcune esportazioni europee oppure ingaggiare una guerra commerciale con gli Stati Uniti di Donald Trump. Il punto, però, è un altro. Ed è grave.
L’Europa ha accettato l’imposizione americana. L’ha accettata in silenzio. Peggio: con il pollice alzato, quello di Ursula von der Leyen sulla foto scattata in Scozia con Donald Trump. Una stretta di mano e una foto sorridente accanto a chi minaccia apertamente i fondamenti stessi della democrazia. Non parliamo di una divergenza tecnica tra apparati statali. Parliamo della legittimazione, attraverso l’accordo e il gesto simbolico, di una pratica politica che nega tutto ciò su cui l’Unione europea e l’Occidente dovrebbero fondarsi: il primato della legge sull’arbitrio, la tutela dei diritti, la solidarietà, il rispetto delle istituzioni, l’intesa e il compromesso invece dell’imposizione della legge del più forte.
Trump non è un interlocutore qualunque. È un uomo che insulta, minaccia, ricatta. Che chiama “diavolo” chi dissente. Che fa causa alle testate giornalistiche indipendenti. Che incita all’arresto dei giudici. Che distrugge, un giorno dopo l’altro, ogni principio liberale e costituzionale su cui si fonda lo Stato di diritto. E allora no, non è un semplice “deal”, non è solo un affare commerciale. È molto, molto di più. È l’ingresso in una logica perversa: quella per cui si tratta il proprio alleato come un nemico, e si lodano apertamente le azioni criminali dei dittatori.
Accettare tutto questo in nome della “realpolitik” significa rinunciare non solo a un’identità politica, ma a una missione storica. Significa gettare le basi per un mondo costruito non sul diritto, ma sulla forza. Non sulla cooperazione, ma sul conflitto.
Ecco perché quel pollice alzato non è un dettaglio. È un simbolo e, come tutti i simboli, parla chiaro. L’Europa avrebbe dovuto dire no, non per difendere un dazio, ma per difendere se stessa. E invece, ha piegato la testa, dando a Trump una vittoria che ne legittima ancor più l’agire.