In un tempo in cui l’antisemitismo esplode di nuovo nelle piazze, nei social e perfino nelle scuole europee, ci sono ancora voci che alimentano il fuoco e si illudono di farlo in nome della giustizia. Accusare Israele di “genocidio”, paragonarlo alla Germania nazista, e associare i suoi cittadini ai carnefici del Novecento non è solo un errore storico e morale: è benzina gettata sul fuoco dell’odio. Non si tratta di critica politica, né di difesa dei diritti umani. Si tratta di demonizzazione. Si tratta di una strategia retorica tossica che disumanizza l’unico Stato ebraico del mondo e, con esso, ogni ebreo che non accetta di restare in silenzio. Ogni volta che si rovescia la realtà per accusare gli ebrei di essere i “nuovi nazisti”, si oltrepassa una linea rossa. È un linguaggio che, oggi, non solo è immorale: è pericoloso. Paragonare Israele al regime che ha assassinato sei milioni di ebrei è una forma perversa di negazionismo rovesciato. È relativizzare la Shoah per colpire i suoi sopravvissuti. È trasformare le vittime in carnefici e i carnefici in vittime. Ed è esattamente quello che, secondo la definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), costituisce antisemitismo a tutti gli effetti. Non un’opinione controversa, ma un atto di odio riconosciuto come tale da oltre 40 Paesi, compresa la Svizzera. In alcuni ordinamenti, simili accuse possono anche rientrare nel codice penale come istigazione all’odio razziale. I giornali seri, consapevoli della responsabilità che deriva dalla parola scritta, non pubblicano questi paragoni indegni. Perché sanno che il linguaggio può essere un’arma. E queste parole, oggi, uccidono: giustificano violenze contro sinagoghe, boicottaggi contro cittadini ebrei, minacce contro chi osa difendere Israele. Il silenzio su questo ritorno dell’odio è assordante. Peggio ancora è chi, invece di condannarlo, lo legittima, ammantandolo di falsa umanità. Così si legittima la violenza, si rafforza Hamas e si lascia campo libero all’estremismo. Siamo stanchi di dover giustificare il diritto di Israele ad esistere. Di dover spiegare che Israele non è un’occupazione, ma una risposta alla storia. Siamo stanchi di essere minacciati ogni volta che alziamo la voce per dire che Hamas è un’organizzazione terroristica. Stanchi di veder riscritta la storia da chi ignora i pogrom arabi, l’alleanza tra il Muftì di Gerusalemme e Hitler, l’espulsione di un milione di ebrei dai paesi arabi, il rifiuto sistematico di ogni offerta di pace. Criticare Israele è lecito, anzi doveroso quando serve. Ma quando la critica diventa ossessione, quando ogni ebreo è chiamato a rispondere per ogni bomba, quando si invoca “mai più” solo per negarlo agli altri, allora sì: stiamo di nuovo affondando nel baratro morale dell’Europa peggiore. Chi usa la Shoah per attaccare Israele non ha imparato nulla dalla storia. E oggi, così facendo, la sta aiutando a ripetersi. E sono colpevoli anche quei politici, accademici e commentatori che applicano due pesi e due misure, che tacciono davanti ai crimini di Hamas e si indignano solo quando a difendersi è Israele. Chi guarda in una sola direzione, chi grida solo contro gli ebrei, oggi non è neutrale: è complice.