Quel che si evidenzia è la tremenda leggerezza con cui è stata lacerata la vela della Nave di Teseo che rappresenta l’opera di Vacchini per il Festival del Film. Mentre le proiezioni continuano con un telo ridotto nella qualità, la Piazza Grande gode ancora della forza del gesto del suo autore, ma con una potenza ridotta.
Seppur il mito è un sistema di allegorie da prendere in senso lato, rappresenta concettualmente la materia concreta di cui si compone la società. Nel caso specifico due caratteri riguardanti la “Nave” emergono: uno, il suo valore immaginifico capace di accompagnare verso il largo di lidi lontani e ignoti le fantasie e l’immaginazione di chi sta a bordo come di chi rimane a terra; l’altro riguarda quel che la Nave muove sul piano pratico: cantieri e scambi, idee e opinioni, maestrie differenti che si evolvono attorno a questa magica e imponente presenza per mantenerla in movimento insieme alle nuove conoscenze acquisite. Penso sia facile comprendere il nesso particolare della Nave in questa storia, della Nave che naviga sul lago acciottolato della Piazza Grande di Locarno quando viaggia a vele spiegate.
È particolarmente significativo notare che l’opera di Vacchini consegua un valore di giustezza considerando che lo schermo in sé nasce con l’idea di essere temporaneo e non permanente, sia perché salpa e ritorna al suo porto regolarmente ogni anno sia perché con il tempo contando misurate modifiche ha saputo aggiornare i pezzi di cui è fatto in seno al progresso e alla qualità. Eppure dopo tanto e tale lavoro per migliorarlo, riassemblarlo e per ricollocarlo nella sua iconica posizione, è proprio questo dispositivo effimero a restituire l’identità all’intera città. Questo è il potere del simbolo, e questa è stata la maestria straordinaria di Livio Vacchini.
A chi appartiene alla fine la Nave, a Teseo o a chi contribuisce a rinnovarne l’integrità? A mio parere lo schermo appartiene alla Piazza, misura ultima per ogni sua trasformazione.