Nel mese di novembre, il 30 per l’esattezza, saremo chiamati a votare sulla cosiddetta “Iniziativa per il Futuro”. L’iniziativa tanto criticata dalla destra e dai potenti ha scomodato a più riprese anche Tito Tettamanti, Fabio Regazzi e Samuele Vorpe (per citarne alcuni sul nostro territorio). La proposta pone al centro un concetto tanto semplice quanto giusto: far pagare i danni della crisi climatica a chi quest’ultima l’ha causata, l’alimenta o addirittura ne trae profitto. Il tutto, per evitare di arrivare troppo tardi all’appello dei danni causati dalla crisi climatica con l’aggiunta di tasse o limitazioni per l’intera popolazione. Innumerevoli studi condivisi da Oxfam, Onu, Cambridge e Planetary Health (per citarne alcuni) traggono le stesse conclusioni: la crisi climatica esiste e non è causata in modo equo, bensì per gran parte le responsabilità sono attribuibili all’1% più ricco della popolazione.
Al netto di queste considerazioni vedo solamente tre vie possibili: la prima concerne il non fare nulla, continuare a difendere uno status quo che negli anni ha mostrato solo significativi peggioramenti e deterioramenti del tessuto sociale, ambientale ed economico. La seconda via che si potrebbe percorrere è quella di limitare i danni tramite tasse ingiuste o limitazioni personali quali tasse sul CO2, tasse sulla benzina, sui viaggi. Tutte queste misure in parte già adottate in parte già rifiutate dal popolo svizzero hanno sempre e solo dimostrato un aumento dei costi a carico dei singoli con incidenze concrete minime. La terza via, quella che l’iniziativa in questione vorrebbe percorrere, è invece una proposta nuova, lungimirante e soprattutto equa. Tassare l’eccesso su eredità e donazioni superiori ai 50 milioni di franchi toccherebbe solo lo 0,035% della popolazione più ricca che, come dimostrato dagli studi citati, è responsabile della maggior parte della crisi climatica. Senza intaccare il potere d’acquisto o le libertà individuali. Si stima che con questa proposta la Confederazione avrà a disposizione ogni anno circa sei miliardi da investire in misure concrete per la tutela sociale e ambientale.
Non stupisce che alcuni tra i principali oppositori dell’iniziativa siano legati agli interessi di chi verrebbe (minimamente) toccato da questa proposta. Un esempio? Tito Tettamanti, imprenditore e avvocato con un patrimonio stimato di 950 milioni di franchi, ha definito l’iniziativa “ideologica”. Ma cosa c’è di più ideologico del negare le evidenze scientifiche e pensare che si possano risolvere senza un’azione politica concreta o addirittura grazie a un contributo uniforme di tutta la popolazione.
Il secondo, presidente dell’Usam, ha già giocato diverse carte contro l’iniziativa in questione. Nascondendosi dietro una fittizia tutela degli interessi di ceto medio e Pmi (che non fraintendetemi, restano il cuore pulsante della nostra economia e vanno tutelati) si è esposto, ancora una volta, a difesa di grandi capitali, gli unici toccati da questa proposta.
Da ultimo ma non per importanza, il responsabile del Centro di competenze tributarie e giuridiche (Cctg) della Supsi ha definito l’iniziativa “dissuasiva” e dall’applicazione “nebulosa”. Ma è davvero un problema di chiarezza, o il punto è che per la prima volta si toccano i grandi patrimoni?
Per troppo tempo la politica ha evitato il problema. A novembre, tocca a noi cambiare rotta. L’Iniziativa per il Futuro è un primo passo concreto verso la giustizia sociale e climatica.