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Maggioritario? Una questione di governanza

(Ti-Press)

Governanza – dal francese gouvernance, termine che va ben oltre il gestire del piuttosto abusato e generico anglicismo – esprime la modalità pubblica-privata di una società e dei suoi molteplici attori nell’affrontare un complesso sistema di relazioni multifattoriali e di sfide, interne ed esterne, a una specifica realtà, istituzionale o di impresa. La governanza comporta la capacità di definire massime d’orientamento strategico, condivise e rispettate, e di tradurle in regole e azioni concrete, definibili, verificabili e sempre adattabili sull’arco delle varie dimensioni temporali, specie di lungo-medio periodo.

Il tema, tutt’altro che teorico, dovrebbe accompagnare la discussione sulla riproposta di una formula di governo maggioritario anche in Ticino. L’uovo di Colombo? “Non da escludere, ma da solo sarebbe insufficiente”, così il pensiero del politologo Oscar Mazzoleni (laRegione, 24.7.25), che conclude: senza un ripensamento più generale è difficile risolvere i nodi della progettualità politica; occorre una riforma complessiva che vada a modificare anche gli aspetti inerenti alla gestione governativa dei dipartimenti e, non da ultimo, che vada a incidere sulle regole del gioco e sui rapporti tra governo e parlamento. E il consigliere di Stato Christian Vitta va subito oltre (laRegione, 25.7.25), richiamando in una riflessione finale gli odierni problemi epocali e la necessità di affrontare i disequilibri che si stanno creando a discapito del benessere collettivo. Partendo dal basso, innanzitutto attraverso il dialogo con la popolazione, il rispetto delle visioni altrui e la collegialità.

Allora che si fa? Il peggio sarebbe quello di restare fermi al palo in attesa che il cielo si schiarisca. Anche se la storia non si ripete, lo scenario ricorda quello a cavallo degli anni Ottanta del secolo scorso: un deficit di governanza, poiché il Ticino non aveva saputo cogliere le necessità di accompagnare la dirompente crescita del secondo dopoguerra, bocciando o ibernando la legge urbanistica e la programmazione economica; una prima forte crisi economica nel 1975 e 1978 e poi una finanziaria cantonale, quando il consigliere di Stato Carlo Speziali uscì con la frase “mi trema il sangue nei polsi e nelle vene”. Già allora i rapporti tra i tre poli dell’esecutivo, del legislativo e quello tecnocratico-amministrativo denunciavano forti carenze e tensioni. Il Consiglio di Stato diede udienza ai risultati delle ricerche dei primi politologi (Linder/Hotz/Werder, Planung in der schweizerischen Demokratie, Bern, 1979). La formula trovata fu quella della “Legge sulla pianificazione cantonale” del 10 dicembre 1980, tuttora in vigore, ma piuttosto disattesa nel suo spirito: far dialogare i tre poli e trovare convergenze. Il Rapporto sugli indirizzi, del 1982, fu la premessa per l’allestimento del primo Piano direttore del territorio (con l’immagine del “Ticino, Città-Regione”), delle linee direttive e dei piani finanziari e la riforma del Lago d’Orta, con la strutturazione in cinque dipartimenti. Non che non ci fossero vecchi e nuovi problemi. (R. Ratti, in: Il Cantonetto, 1/2023). Ma forse la stagione che ha portato all’Usi/Supsi, al Lac e all’affermarsi, malgrado la pessima congiuntura degli anni Novanta, di poli d’innovazione economica e iniziative culturali, nonché la lotta per AlpTransit Ticino, non sarebbe nata senza questo tipo di governanza.

Oggi occorre decidere di ripensarla alla luce delle sfide epocali che si stanno facendo sentire a tutti i livelli, compreso quello del nostro piccolo Cantone, triangolo svizzero di lingua italiana tra gli spazi metropolitani di Zurigo e di Milano. In parte una riflessione, con larga partecipazione dei portatori d’interesse si è avuta con il documento “Prospettiva 2040” (ridenominazione dei Rapporti sugli indirizzi), uscito nel febbraio 2024, ma praticamente ignorato dagli stessi poteri esecutivo e legislativo, e quindi anche dai media. Documento valido nell’impostazione e nella formulazione delle tendenze e aree di azione (tanto è vero che andrebbe bene anche per altri Cantoni), ma che evita di entrare nel merito dei nostri problemi specifici che esigerebbero una visione sistemica e scelte politiche. Eppure le sfide epocali, riassumibili sotto l’etichetta ‘Resa’ (Riassetto Economico, Sociale e Ambientale), sono presenti da tempo. Avevamo proposto questa formula nella primavera 2020 di fronte allo shock del Covid. Intanto le sfide si sono ingigantite. Restano aperti – e non sono sempre ribaltabili ai livelli superiori – gli interrogativi sullo sviluppo della nostra economia (dove anche il privato ha bisogno di sicurezze e di orientamenti strategici); sul riassetto della nostra socialità (alla luce dell’evoluzione demografica e dei costi di una sanità fuori controllo); sul riassetto territoriale e ambientale (tra problemi di sempre e delicatissime nuove tematiche che comportano anche cambiamenti culturali).

Il nuovo volto degli strumenti della citata formula della pianificazione cantonale non potrebbe prendere le vesti di un accordo di governanza pubblica-privata? Magari negli imperativi del riassetto ‘Resa’? Più che un “patto di governo”, occorre un vero e proprio “patto di Paese”. Forse per questo, ma solo come formula strumentale, la proposta di passare al maggioritario avrebbe un senso.