Chi non c’era il 7 agosto in Piazza Grande a Locarno ignora che le 5’000 cartoline distribuite alle entrate del Festival recavano, incollato a mano, un pezzo di vera garza sporca di rosso sangue. Non era una stampa. Ogni cartolina era unica, frutto del paziente lavoro con colla e pennelli, di una ventinadi persone, prevalentemente donne. Appartengono al gruppo di cittadine e cittadini che il 24 maggio organizzò a Bellinzona una manifestazione silenziosa di 5’000 persone per dire No all’indifferenza, No al genocidio in corso a Gaza.
Il messaggio simbolico di quelle cartoline, alzate dal pubblico durante un intenso minuto di silenzio, ha reso visibili la solidarietà e l’indignazione delle cittadine e dei cittadini costretti ad assistere impotenti a una catastrofe umanitaria sempre più tragica, giorno dopo giorno.
Confezionare quelle 5’000 cartoline è però servito anche a lenire il "trauma vicario" che colpisce chi assiste ripetutamente a violenze inaccettabili che possono generare stress, ansia, persino depressione. È dunque comprensibile che per proteggersi da questo dolore, o per paura di cadere nell’antisemitismo, molti si rinchiudano in una corazza di indifferenza, convinti che protestare non serva. I meno innocenti si crogiolano invece nella negazione della realtà, avanzando argomenti pseudopolitici. Come Fabio Regazzi, per cui quella di Gaza è solo una delle tante guerre in corso… oppure il direttore del Corriere del Ticino per cui la situazione è troppo complessa per schierarsi… soprattutto se si dirige un festival. Come se pace e neutralità equivalessero all’equidistanza fra carnefice e vittima, fra un carro armato e un bambino affamato.
C’è poi l’indifferenza dei governi, in primis il nostro, a rischio di complicità col genocidio. A parole si chiede il rispetto dei diritti umani. Nei fatti, però, non si adottano misure concrete ed efficaci. Nemmeno un corridoio umanitario. Come se tutto fosse incominciato con i gravi crimini commessi il 7 ottobre 2023 da Hamas. Un pogrom che nella popolazione israeliana ha risvegliato antiche paure. Ma anche il pretesto perfetto per permettere a Israele di presentarsi come la vera vittima, l’unica a cui si deve riconoscere il diritto di difendersi, mentre da decenni i suoi governi sionisti perseguitano il popolo palestinese occupando la sua terra e distruggendo i suoi villaggi.
Ogni forma di protesta invece serve. Serve a chi la compie, ma soprattutto a far pressione su chi dovrebbe agire subito. Perché se oggi non si ferma la barbarie a Gaza, domani diventerà legittima ovunque. Dire basta al genocidio – o massacro che dir si voglia – serve a prevenire un tragico futuro per tutti. La pace si può fare solo col dialogo e la giustizia, non si ottiene uccidendo i bambini. Come risponderemo quando le prossime generazioni ci chiederanno “cosa avete fatto durante il genocidio di Gaza?”. Non stupisce che a rispondere presente ritroviamo in prima fila ancora una volta tante donne, ma anche tanti medici e sanitari, persone abituate da sempre a proteggere la Vita. Ovunque.